Un’isola ‘priva di storia’? Un viaggio di oltre mille anni nella Sardegna medievale

«Sa storia sarda e’ pagu cosa». La presunta estraneità della Sardegna alla ‘Storia’ (soprattutto a quella con la “s” maiuscola) è un pregiudizio che, ancora ai giorni nostri, permea l’opinione comune. Una terra immobile, perennemente uguale a sé stessa, quasi prigioniera dei ritmi ciclici della natura; visione dovuta anche ad alcune mancanze nella divulgazione storica, nonché allo scarso insegnamento della storia dell’isola all’interno dei corsi di studio. Ma basta andare oltre il ‘luogo comune’ per accorgersi come le cose stiano molto diversamente.

Complesso nuragico di Santa Sabina (Silanus),

La centralità geografica e la rilevanza strategica ed economica rendono infatti la Sardegna un punto di osservazione privilegiato per leggere la storia del Mediterraneo e dell’Europa: una terra tutt’altro che priva di storia, tantomeno estranea ai rapporti con le civiltà che nel «Grande Mare» (D. Abulafia) hanno trovato una via di comunicazione e un crocevia di traffici, uomini, conoscenze e culture. 

Le testimonianze archeologiche attestano, già per l’età preistorica e protostorica, i rapporti commerciali e culturali che legavano l’isola alle altre aree del Mediterraneo. Le culture e le civiltà fiorite in Sardegna in età prenuragica e nuragica afferivano alla vasta koinè della cultura megalitica mediterranea. L’archeologia e la storiografia più recenti sono giunte, del resto, a individuare nei cosiddetti ‘Popoli del Mare’, riversatisi sulle coste del Mediterraneo orientale e dell’Egitto intorno al XIII-XII sec. a.C., delle popolazioni provenienti anche dalla Sardegna. 

Parimenti, nel corso del lungo millennio medievale, la Sardegna fu un’isola tutt’altro che ‘isolata’. Furono anzi le relazioni esterne a determinare, sovente, i principali mutamenti politici, economici, sociali e culturali di una terra che di questa ricca commistione di culture e civiltà porta ancora le testimonianze. Dal tardo Impero Romano all’egemonia delle popolazioni di stirpe vandalica; dal dominio bizantino allo sviluppo della civiltà giudicale; dall’influenza economico-commerciale e poi politica delle repubbliche marinare sino all’ingresso dell’isola nell’orbita catalano-aragonese e poi spagnola: in questo e nei prossimi tre articoli ci proponiamo di raccontare, intraprendendo un viaggio di oltre mille anni, l’affascinante storia della Sardegna medievale.

 

La Sardegna nel tardo Impero Romano

La Sardegna, entrata in orbita romana nel contesto delle guerre puniche (III-II sec. a.C.), in età tardoimperiale (III-V sec. d.C.) afferiva, a livello politico-amministrativo, alla provincia d’Africa e alla prefettura di Cartagine. L’isola, caratterizzata da un clima mite, un’orografia varia e una ricchezza della flora e della fauna, ricopriva una rilevante posizione strategica ed economica. Le città portuali di Olbia, Turris Libisonis (Porto Torres), Tharros, Sulki (Sant’Antioco) e Karales (Cagliari), di antica fondazione fenicio-punica, erano dei fiorenti empori commerciali, grazie alle relazioni con un entroterra dotato di notevoli risorse e alla loro rilevante posizione lungo le rotte mediterranee.

In ambito religioso e culturale, ancora in età tardoantica è attestata nell’isola la frequenza e l’utilizzo degli antichi luoghi di culto, fondati o eretti in età nuragica e fenicio-punica. Il culto della divinità eponima del Sardus Pater Babay era ampiamente tollerato dalle autorità imperiali e ne resta traccia nel suggestivo sito archeologico di Antas, presso Fluminimaggiore, nell’attuale Iglesiente, area del resto già caratterizzata da numerosi insediamenti nuragici. L’organizzazione politica e sociale romana aveva nondimeno favorito il diffondersi, anche nel Mediterraneo occidentale, dei grandi culti salvifici provenienti da Oriente: i culti misterici, i culti di Iside e Mitra e, soprattutto a partire dal II sec., il cristianesimo.

 

La diffusione del cristianesimo in Sardegna

Già nel corso del II-III sec., la Sardegna era divenuta terra di deportazione per i cristiani condannati ad metalla, ovvero al lavoro forzato nelle miniere, in particolare proprio presso la regione dell’Iglesiente. Alle ondate di persecuzione dell’età di Diocleziano (284-305) si lega la nascita nell’isola di una tradizione agiografica di santi-martiri sardi: sant’Efisio a Nora; san Saturno a Cagliari; san Lussorio a Fordongianus; san Gavino a Porto Torres; san Simplicio a Olbia; sant’Antioco a Sulki. Una tradizione che testimonia lo sviluppo e il radicamento del messaggio evangelico e della religione cristiana anche in quest’area, certamente non isolata, dell’Impero.

Sotto l’imperatore Costantino (312-337), a seguito della legittimazione del culto cristiano (editto di Milano, 313), anche in Sardegna la Chiesa iniziò a strutturarsi come potere sul territorio, andando progressivamente a sovrapporsi alle stesse strutture dell’amministrazione imperiale. Nel 314 Quintasio, vescovo di Cagliari, sarebbe stato convocato da Costantino perché, insieme a una cinquantina vescovi delle aree occidentali dell’Impero, intervenisse al concilio di Arles, riunito per discutere dell’eresia donatista. Una presenza della Chiesa marcata anche sul piano economico: stando al Liber pontificalis, raccolta di biografie dei pontefici romani, allo stesso Costantino si attribuirebbe la donazione, sotto il papa Silvestro (314-335), dei proventi delle proprietà imperiali in Sardegna alla Basilica dei Santi Pietro e Marcellino a Roma. Sempre Costantino, forse su impulso delle autorità della Chiesa locale, nel 325 avrebbe emanato un provvedimento – trasmesso parzialmente modificato nel successivo Codex Theodosianus – relativo alla ricostituzione delle famiglie di schiavi smembrate tra i conduttori dei latifondi imperiali in Sardegna. Una testimonianza della progressiva crisi del sistema servile, che aveva caratterizzato il sistema fondiario e agricolo in età imperiale e tardo-imperiale.  

La rilevanza della Chiesa sarda in età tardoantica

Al concilio di Sardica (oggi Sofia, capitale dell’odierna Bulgaria) del 343-344, riunito per discutere dell’eresia ariana – che, in seno al cristianesimo, negava la divinità del Cristo ammettendo solo quella del Padre –, furono presenti, tra i novanta vescovi provenienti dalle aree occidentali dell’Impero, alcuni presuli sardi. Avrebbero invece preso parte al successivo concilio di Cartagine (484) i vescovi di Karales, Turris Libisonis, Forum Traiani (Fordongianus), Sulki e Cornus, antica città i cui suggestivi resti archeologici si trovano oggi nell’oristanese, presso Cuglieri. I rapporti fra la Chiesa sarda e le altre comunità dell’Impero attestano dunque un’isola vitale dal punto di vista culturale, al quale si affiancavano i già ricordati contatti sul piano economico-commerciale. 

Affreschi cristiani presso la necropoli ipogeica di Sant'Andrea Priu (Bonorva)

A questi decenni risalgono le vicende di Eusebio, nato in Sardegna tra il III e il IV sec., recatosi giovanissimo a Roma e dal 345 divenuto vescovo di Vercelli, e del suo contemporaneo, Lucifero vescovo di Cagliari (353-370). Entrambi ebbero un ruolo determinante nella storia della Chiesa del IV sec., difendendo l’ortodossia romana del concilio di Nicea (325) contro l’eresia ariana, appoggiata dall’imperatore Costanzo II (337-361), subendo per questo, al pari del papa Liberio (352-366), l’esilio. A seguito di queste vicende si sarebbe verificato lo scisma di parte della Chiesa sarda da Roma a opera dei seguaci di Lucifero, che non accettarono la successiva politica di conciliazione della Chiesa romana verso i vescovi che avevano aderito all’arianesimo. La Sardegna, fra III e V sec., era dunque una delle aree dove il pensiero teologico era più attivo e innovativo, al centro della cultura cristiana tardoantica e in dialogo e mediazione tra Oriente e Occidente. Non a caso, proprio in questo periodo sono attestati i due unici pontefici di provenienza sarda: Ilario (461-468) e Simmaco (498-514). 

 

Il monachesimo in Sardegna e l’opera di Fulgenzio di Ruspe

La chiesa sarda tardoantica era vivace negli studi dottrinali e teologici anche in virtù della diaspora dei vescovi dalla provincia d’Africa, passata, nella prima metà del V sec., sotto il dominio dei Vandali dei re Genserico (428-477) e Trasamondo (496-523), di fede cristiana ma seguaci, come numerose popolazioni germaniche, della dottrina ariana. Alcuni presuli cattolici furono dunque inviati oppure fuggirono in Sardegna, dove si sarebbe così radicata l’élite della tradizione teologica africana, che aveva vantato figure quali il padre della chiesa e teologo sant’Agostino, vescovo di Ippona (354-430). Una contaminazione evidente anche sul piano della cultura materiale e delle testimonianze monumentali: presso il sito dell’antica necropoli ipogeica di Sant’Andrea Priu, in agro di Bonorva, sono attestati alcuni insediamenti rupestri riadattati al culto cristiano in età tardoantica, con intonaci e affreschi che, nello stile e nell’iconografia, si avvicinano alla tradizione orientale.   

Tra gli esuli provenienti da Cartagine e dal Nordafrica sarebbe stato presente anche Fulgenzio, vescovo di Ruspe e tra i massimi teologi del suo tempo. A Fulgenzio si deve la fondazione di due monasteri, uno all’interno della città di Cagliari, l’altro nel suburbio orientale, presso la basilica dedicata al martire locale Saturno. Teologo e autore di sermoni, nonché profondo conoscitore delle Sacre Scritture, Fulgenzio fu anche un esperto e infaticabile copista: vivace e in parte conosciuta fu infatti l’attività dello scriptorium annesso al primo monastero da lui fondato.

 

Francesco Borghero

 

Per approfondire:

MASSIMO GUIDETTI (a cura di), Storia dei sardi e della Sardegna, vol. II, Dalle origini all’Età Bizantina, Jaca Book, Milano, 1988

ATTILIO MASTINO; GIOVANNA SOTGIU; NATALINO SPACCAPELO (a cura di), La Sardegna paleocristiana tra Eusebio e Gregorio Magno, Atti del Convegno nazionale di studi (Cagliari, 10-12 ottobre 1996), Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, Cagliari, 1999 

ATTILIO MASTINO, Storia della Sardegna antica, Il Maestrale, Nuoro, 2009

GIAMPAOLO MELE, Il monastero e lo «scriptorium» di Fulgenzio di Ruspe a Cagliari nel VI secolo tra culto, cultura e il mediterraneo, in Il Papato di san Simmaco (498-514), Atti del Convegno internazionale di studi (Oristano, 19-21 novembre 1998), Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, Cagliari, 2000, pp. 199-229 

PIER GIORGIO SPANU, La Sardegna vandalica e bizantina, in Storia della Sardegna. 1. Dalle origini al Settecento, a cura di Manlio Brigaglia; Attilio Mastino; Gian Giacomo Ortu, Laterza, Roma-Bari, 2006, pp. 59-69

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Written by : Redazione

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