«Laggiù c’è una bella ombra dove potremmo riposare sia noi sia i cavalli.»
«È vero, bel fratello: erano sette anni che non mi sentivo tanto assonnato» gli rispose ser Lancillotto.
Così smontarono e, dopo che ebbero legati i cavalli agli alberi, ser Lancillotto si stese sotto il melo e appoggiò la testa sull’elmo, mentre il giovane vegliava il suo sonno. Quindi Lancillotto era profondamente addormentato quando apparvero tre cavalieri che cavalcavano al galoppo inseguiti da uno che procedeva da solo e che a Lionello parve il cavaliere più alto, più bello e meglio equipaggiato che avesse mai visto. Questi raggiunse quasi subito uno degli altri tre, lo abbatté lasciandolo sulla fredda terra, poi si avvicinò al secondo e lo gettò al suolo insieme al cavallo; infine si scagliò sul terzo e lo scaraventò alla distanza di una lancia dalla groppa della cavalcatura. Poi smontò e, trattenendo il proprio cavallo per la briglia, legò ben stretti i tre caduti con i finimenti dei loro destrieri.
Ser Lionello pensò di attaccarlo; si preparò e montò in sella silenziosamente e senza farsi scorgere, lasciando ser Lancillotto addormentato. Poi raggiunse il cavaliere e gli intimò di voltarsi, ma quello lo colpì lesto e con tale energia che lo abbatté in terra col cavallo, quindi smontò, lo legò e lo gettò di traverso sulla groppa del destriero. Serviti così tutti e quattro nella medesima maniera, andò al suo castello, li fece disarmare e cominciò a fustigarli con rami spinosi; infine li gettò in una profonda prigione in cui si trovavano già vari altri cavalieri che si lamentavano pietosamente.
Come ser Ector andò in cerca di ser Lancillotto, e come fu catturato da ser Turquin
Intanto ser Ector di Maris, saputo che Lancillotto aveva lasciato la corte per andare in cerca di avventure, si adirò e decise di seguirlo. Cavalcò a lungo per una vasta foresta e poi, essendosi imbattuto in un uomo che sembrava del luogo, gli chiese se da quelle parti vi fossero delle avventure.
«Conosco molto bene il paese, signore» fu la risposta dell’uomo. «A meno di un miglio da qui vi è una roccaforte circondata da un buon fossato e vicino, alla sua sinistra, si trova un guado adatto per abbeverare i cavalli. Al di là del guado vedrete un bell’albero su cui sono appesi vari scudi di valore che appartenevano a dei prodi cavalieri. Al tronco dell’albero, poi, è attaccato un bacile di rame e di ottone: se lo percuoterete tre volte con il calcio della lancia, avrete presto quello che cercate e vi sarà anche concessa la più bella grazia mai occorsa da molti anni a un cavaliere che sia passato per questa foresta.»
Ser Ector lo ringraziò e si allontanò. Arrivato davanti all’albero, vide gli scudi e tra di essi riconobbe quello del fratello ser Lionello e quelli di altri cavalieri della Tavola Rotonda. Profondamente addolorato, ma anche adirato, e ripromettendosi di vendicarli, percosse il bacile e poi portò il cavallo ad abbeverarsi al guado. D’un tratto dietro di lui comparve un cavaliere che gli intimò di uscire dall’acqua e di mettersi in guardia. Ser Ector si voltò in fretta, pose la lancia in resta e gli assestò un colpo che gli fece girare due volte il cavallo.
«Bravo!» lo lodò allora lo sconosciuto che si chiamava ser Turquin. «Mi avete colpito da vero gentiluomo.»
Così dicendo, li spinse contro il cavallo, lo colse sotto il braccio destro e lo fece cadere netto di sella. Poi portò anche lui nel castello, lo gettò sul pavimento della scala e gli disse: «Poiché oggi mi avete recato più danno di quanto me ne sia stato fatto negli ultimi dodici anni, vi risparmierò la vita, ma dovrete restare mio prigioniero fino alla morte.» «Questo non lo accetterò mai!» proruppe ser Ector. «Farò quello che più mi conviene.»
«Mi spiace » disse allora ser Turquin.
Lo fece disarmare e denudare e lo sferzò con i pruni prima di gettarlo nella stessa prigione in cui aveva rinchiuso i suoi compagni.
«Ahimè, Lionello» esclamò ser Ector appena scorse il fratello «Dov’è ser Lancillotto?»
«Lo lasciai che dormiva sotto un melo e non saprei dirti cosa gli sia avvenuto» gli rispose Lionello.
«Ahimè!» si lamentarono gli altri prigionieri. «Non saremo mai liberati senza l’aiuto di Lancillotto, perché non conosciamo altri che siano in grado di misurarsi con il nostro carceriere!»
Come quattro regine trovarono Lancillotto addormentato, e come gli gettarono un incantesimo e lo condussero in un castello
Lasciamo ora i cavalieri prigionieri e parliamo di ser Lancillotto del Lago che dormiva sotto il melo. Era più o meno mezzogiorno quando passarono di là quattro regine con un ricco apparato. Per non essere infastidite dal caldo cavalcavano quattro mule bianche attorniate da quattro cavalieri che le riparavano dal sole con un drappo di seta verde fissato su quattro lance. Sentendo il nitrito feroce di un cavallo, esse si accorsero che sotto un melo dormiva un cavaliere tutto armato in cui riconobbero ser Lancillotto. Allora cominciarono a contenderselo, perché ciascuna asseriva di volerne fare il proprio amante.
«Non disputiamo tra noi» disse alla fine Morgana la Fata sorella di re Artù. «Gli getterò un incantesimo che lo farà dormire per altre sei ore, così potremo portarlo nel mio castello e svegliarlo solo quando sarà al sicuro tra le mura della fortezza. Allora lasceremo che scelga fra noi quella che preferirà.» Incantato il cavaliere, le regine lo deposero sul suo scudo e lo trasportarono issato su un cavallo e sorretto ai lati da due cavalieri nel castello di Chariot, dove lo adagiarono in una fresca camera; poi, alla notte, gli mandarono una damigella con la cena. L’effetto dell’incantesimo era svanito e la fanciulla, trovandolo sveglio, lo salutò e gli chiese come stesse.
«Non saprei, bella damigella» le rispose il cavaliere. «Non capisco come sono arrivato qui, ma penso di essere stato colpito da un sortilegio.»
«Signore, dovete stare di buon animo, perché se siete il cavaliere che si dice domattina presto vi farò sapere di più» ella replicò.
«Grazie, bella damigella, vi sono grato per il vostro benvolere» le disse Lancillotto prima che si allontanasse.
Poi si distese nuovamente e trascorse il resto della notte senza ricevere alcun conforto. Il mattino presto arrivarono le quattro regine vestite di splendidi abiti e gli augurarono il buon giorno. Quando egli ebbe ricambiato il saluto, Morgana gli disse: «Sappiamo che siete ser Lancillotto del Lago figlio di re Ban e ci sono noti il vostro valore e la vostra fama di più nobile cavaliere del mondo. Siamo anche a conoscenza del fatto che avete donato il vostro amore solo alla regina Ginevra. Ma ora siete nostro prigioniero, e quindi perderete per sempre la vostra dama. Dovrete scegliere fra noi colei che vorrete come amante. Io sono Morgana la Fata della terra di Gore, e le altre sono la regina del Galles del Nord, la regina della Terra d’Oriente e la regina delle Isole Esterne. Ora decidete quale volete come amica, altrimenti vi lasceremo morire in prigione.»
«Mi è difficile accettare una simile alternativa» le rispose Lancillotto. «Tuttavia preferisco perdere onorevolmente la vita in prigione piuttosto che forzare il mio desiderio e fare di una di voi la mia amante. La mia risposta perciò, streghe traditrici, è che non vi voglio. Quanto alla mia signora dama Ginevra, se fossi libero proverei su di voi o sui vostri uomini che è la dama più fedele del mondo al proprio signore.»
«Dunque ci rifiutate!» proruppero le regine.
«Sì, sulla mia vita! »
Allora esse se ne andarono lasciandolo solo, immerso nel dolore.
Come ser Lancillotto fu liberato da una damigella
Più tardi, verso il mezzogiorno, arrivò la damigella con il pranzo e gli chiese come stava. «A dire il vero, bella fanciulla, non sono mai stato tanto male» le rispose il cavaliere. «Me ne rammarico, signore, ma se accetterete di farvi guidare da me, potrò tirarvi fuori da questa sventura. Se poi mi farete una promessa, ne uscirete senza disdoro e senza tradimenti.»
«Come volete, bella damigella, ma ho paura delle arti magiche di queste regine che hanno già ucciso molti valorosi cavalieri.»
«È vero, signore, esse vogliono il vostro amore per la fama che avete di ardimento. Dicono che vi chiamate ser Lancillotto del Lago e che siete il fiore dei cavalieri e sono tremendamente adirate perché le avete rifiutate. Ma se voi mi giurerete di aiutare mio padre nel torneo che deve affrontare contro il re del Galles del Nord e martedì prossimo scenderete sul campo al suo fianco, con la grazia di Dio io vi libererò domattina alla prima ora del giorno.»
«Come si chiama vostro padre?» le domandò allora ser Lancillotto. «Potrò darvi una risposta solo quando lo saprò.»
«È re Bagdemagus, signore, e nell’ultimo torneo fu battuto a tradimento da tre cavalieri della corte di re Artù.»
«Lo conosco bene, e so che è un sovrano nobile e un cavaliere valoroso» disse ser Lancillotto. «Allora, damigella, vi giuro sul mio onore che per quel giorno mi avrete al vostro e al suo servizio.»
«Grazie, signore. Tenetevi pronto per domani mattina presto: vi porterò anche l’armatura, il cavallo, lo scudo e la lancia. Andate ad aspettarmi all’abbazia di monaci cisterciensi che si trova a dieci miglia da qui e io vi raggiungerò con mio padre.»
«Sarà fatto, sulla mia parola di leale cavaliere» le promise Lancillotto.
La damigella andò via e il mattino dopo, quando tornò, lo trovò pronto e lo guidò fuori del castello attraverso dodici porte serrate e gli diede l’armatura e il cavallo. Indossate le armi, il cavaliere montò in sella, impugnò una grossa lancia e prima di galoppare via le ripeté ancora:
«Con l’aiuto di Dio, bella damigella, non mancherò alla promessa che vi ho fatto.»
Come Lancillotto fu ricevuto dalla figlia di re Bagdemagus e come si lamentò con il padre di lei
Quando ser Lancillotto entrò nel cortile dell’abbazia, la figlia di re Bagdemagus, che era arrivata prima di lui, sentì lo scalpiccio degli zoccoli del suo cavallo sul lastricato e si alzò per affacciarsi alla finestra. Visto che si trattava di ser Lancillotto, ordinò ai suoi uomini di prendergli il cavallo e di portarlo nelle scuderie, poi di accompagnare il cavaliere in una bella camera e di aiutarlo a disarmarsi. Dopo avergli mandato una ricca veste, infine ella gli si presentò di persona accogliendolo festosamente e dicendogli che per lei era l’uomo più benvenuto del mondo. Il padre, intanto, che era stato mandato a chiamare, arrivò presto con una bella compagnia di cavalieri e andò subito nella camera di Lancillotto dove trovò anche la figlia. Si abbracciarono e si festeggiarono, e poi Lancillotto raccontò al sovrano di essere stato tradito e di non avere notizie del nipote ser Lionello che si era allontanato mentre egli stesso dormiva, aggiungendo poi che sarebbe stato al servizio suo e dei suoi fratelli per tutta la vita dato che sua figlia lo aveva liberato dalla prigione.
«Allora posso contare sul vostro aiuto per martedì prossimo?» gli chiese il re.
«Sì, sire, l’ho promesso a madama vostra figlia e non mi tirerò indietro. Ma ditemi chi erano i cavalieri del mio signore Artù schierati con il re del Galles del Nord.» Bagdemagus gli rispose che si era trattato di ser Mador della Porta, di ser Mordred e di ser Gahalantine, che avevano ucciso i suoi cavalieri senza che egli potesse prendersi la rivincita.
«Sire, poiché ho sentito dire che il torneo si terrà a tre miglia da qui, vi pregherei di mandarmi tre cavalieri fidati, armati di scudi bianchi senza imprese, e di farne portare anche uno per me in modo che non possa essere riconosciuto. Noi quattro sbucheremo da un boschetto in mezzo alle due schiere e ci porteremo sul fronte dei nemici dando loro addosso quanto più potremo.»
Quella notte, che era domenica, si riposarono, e al mattino re Bagdemagus partì e mandò a Lancillotto i cavalieri promessi con gli scudi bianchi. Il martedì, essi si appostarono in un piccolo folto vicino al luogo in cui si sarebbe svolto il torneo e videro che sul campo erano state erette delle tribune e che dame e baroni erano affacciati alle finestre per assistere agli scontri e assegnare il premio.
Quando scese in campo il re del Galles del Nord con centosessanta armati, i tre cavalieri di Artù rimasero in disparte; ma allorché re Bagdemagus comparve con quaranta uomini, misero le lance in resta e si avventarono su di loro con tale impeto che ci furono dodici morti nel partito di Bagdemagus e sei in quello del re del Galles del Nord. Per di più, la schiera di Bagdemagus fu respinta per un bel tratto.
Come ser Lancillotto si batté al torneo, e come incontrò ser Turquin che teneva prigioniero ser Gaheris
Allora si fece avanti ser Lancillotto del Lago, gettandosi nella mischia e abbattendo con una sola lancia cinque cavalieri, quattro dei quali ne ebbero la schiena spezzata. Tra la folla disarcionò anche il re del Galles del Nord che, nella caduta, si ruppe un femore.
« Quello è un ospite davvero scaltro» osservò ser Mador della Porta che osservava le prodezze di Lancillotto insieme ai compagni. «Attacchiamolo!» Ma quando vennero allo scontro, Lancillotto rovesciò in terra cavallo e cavaliere, e ser Mador si slogò una spalla.
«Ser Mador ha fatto una brutta caduta» disse ser Mordred. «Adesso allora tocca a me.»
Ser Lancillotto si accorse che stava per caricarlo e, afferrata una robusta lancia, gli mosse incontro. Ser Mordred infranse la propria arma, mentre Lancillotto gli assestava un colpo che, spezzato l’arcione della sella e fatto volare il cavaliere al di sopra della coda del cavallo, lo fece atterrare con una tale violenza che l’elmo si conficcò nel suolo per la profondità di un piede e più. Così ser Mordred, che per poco non si era rotto il collo, rimase a lungo a terra privo di sensi.
Allora si avanzò ser Gahalantine con una grossa lancia stretta nel pugno. Lancillotto lo fronteggiò e i due cozzarono in piena velocità. Entrambe le lance volarono in pezzi, ed essi sguainarono le spade e cominciarono un feroce scambio di fendenti. Ma alla fine ser Lancillotto, adirato oltre ogni dire, percosse l’avversario sull’elmo e gli fece sprizzare il sangue dal naso, dagli occhi e dalla bocca. Ser Gahalantine chinò il capo, e il suo cavallo gli prese la mano e si gettò al galoppo facendolo precipitare al suolo.
Intanto ser Lancillotto aveva impugnato un’altra grossa asta con cui, prima di spezzarla, aveva abbattuto sedici cavalieri, alcuni insieme al cavallo, e per quel giorno nessuno di quelli che erano stati disarcionati da lui fu più in grado di riprendere le armi. Ma Lancillotto non si fermò: impugnò una nuova lancia e ne gettò in terra altri dodici, che da allora non avrebbero mai più potuto registrare vittorie. Allora i cavalieri del re del Galles del Nord rifiutarono di giostrare ancora, e il premio fu assegnato a re Bagdemagus. Dopo che i due partiti si furono divisi per riprendere la via di casa, ser Lancillotto tornò nel castello di Bagdemagus, dove il sovrano lo accolse con grandi onori e gli offrì molti ricchi doni. Ma già il mattino successivo il cavaliere chiedeva congedo, spiegando che intendeva andare a cercare suo nipote Lionello. Montato a cavallo, raccomandò tutti a Dio e disse alla fanciulla di considerarlo al suo servizio in qualunque momento avesse avuto bisogno di lui.
Capitato per caso nella stessa foresta in cui tempo prima si era addormentato, si imbatté in una damigella che cavalcava un palafreno bianco e, dopo averla salutata, le chiese se sapesse di una qualche avventura in quella contrada.
«Se ne avete il coraggio, ve ne sono di molto vicine» fu la risposta della fanciulla.
«Perché non dovrei? Sono venuto per questo.»
«A dire il vero mi sembrate un valoroso» osservò la fanciulla. «Perciò, se oserete misurarvi con un cavaliere coraggioso quanto voi, vi accompagnerò in un posto in cui potrete incontrare il più provetto e possente che abbiate mai visto. Ma dovete dirmi chi siete.»
«Non è un grande sforzo dirvelo, damigella: mi chiamo ser Lancillotto del Lago.»
«Così mi era parso, signore. Molto vicino a qui vi aspettano delle avventure adatte a voi, perché vi abita un cavaliere che solo Lancillotto potrebbe vincere. Il suo nome è ser Turquin e, a quanto so, tiene prigionieri sessantaquattro cavalieri della corte di re Artù che ha sconfitto con il proprio stesso braccio. Però dovete promettermi che, dopo aver compiuto questa impresa, verrete in soccorso mio e di altre damigelle che subiscono le continue angherie di un malvagio cavaliere.»
«Soddisferò ogni vostro desiderio, damigella, purché mi conduciate da ser Turquin» le promise Lancillotto.
«Allora venite per di qua» disse la fanciulla guidandolo al guado e all’albero a cui era appeso il bacile.
Ser Lancillotto fece abbeverare il cavallo, poi percosse a lungo e con tutte le forze il bacile con il calcio della lancia fino a staccarne il fondo e, poiché non compariva nessuno, si mise a cavalcare avanti e indietro davanti alla porta del castello. Dopo una mezz’ora, vide arrivare un cavaliere che spingeva avanti a sé un cavallo su cui aveva gettato di traverso e legato un cavaliere in armi. A mano a mano che si avvicinava, in ser Lancillotto cresceva l’impressione di conoscere il prigioniero, e quando infine lo vide da più vicino, riconobbe ser Gaheris, un cavaliere della Tavola Rotonda fratello di ser Galvano.
«Bella damigella» disse allora alla fanciulla che lo accompagnava « aggiù c’è un cavaliere legato, e poiché è un mio compagno e fratello di ser Galvano cercherò di aiutarlo. A meno che colui che lo ha preso prigioniero non stia in sella meglio di me, libererò anche tutti gli altri perché sono sicuro che tra di loro vi sono anche due miei parenti.»
Come ser Lancillotto e ser Turquin combatterono l’uno contro l’altro
«Fate scendere il vostro prigioniero, che è pure ferito» intimò Lancillotto a ser Turquin impugnando la lancia. «Mentre egli riposerà, noi misureremo le nostre forze, perché mi è stato detto che state facendo un grave affronto a me e a dei cavalieri della Tavola Rotonda. Ora mettetevi in guardia!»
«Se siete anche voi della Tavola Rotonda, vi sfido come tutti i vostri compagni» fu la replica di ser Turquin.
«Avete parlato anche troppo!» esclamò allora Lancillotto, mettendo la lancia in resta e slanciandosi al galoppo.
Si colpirono nel centro degli scudi spezzando le groppe dei cavalli e cadendo tramortiti in terra. Ma si sbarazzarono presto delle cavalcature, imbracciarono gli scudi, sguainarono le spade e si corsero addosso con furore, dando inizio a un tale scambio di fendenti che gli scudi e le armature non poterono arrestare, così che furono presto feriti e sanguinanti tutti e due. La battaglia continuò per due ore e più, e ciascuno incalzava e tagliava quando riusciva a raggiungere la pelle nuda, ma poi entrambi, spossati, dovettero interrompersi e appoggiarsi alle spade per riposare.
«Ora, amico, tenete un po’ ferme le mani e rispondete a una mia domanda» disse ser Turquin.
«Dite.»
«Siete l’uomo più forte e resistente che abbia mai incontrato e somigliate al cavaliere che odio di più al mondo. Ma se non siete colui di cui parlo, sono pronto a venire a un accordo e anche, per amor vostro, a liberare tutti i prigionieri. Perciò ditemi il vostro nome e io vi sarò leale compagno finché avrò vita.»
«Va bene» gli rispose ser Lancillotto «ma se questo è l’unico modo per avere la vostra amicizia bisogna che sappia il nome del cavaliere che odiate tanto.»
«È ser Lancillotto del Lago, che alla Torre Dolorosa ha ucciso mio fratello ser Caradoc, uno dei migliori cavalieri del mondo. Lo sto aspettando da molto tempo e ho giurato che se un giorno riuscirò a scontrarmi con lui uno dei due dovrà mettere a morte l’altro. A causa sua ho ucciso un centinaio di buoni cavalieri, altrettanti ne ho mutilati in modo tale che non potranno mai più difendersi e molti altri li ho lasciati morire in prigione. Ma sessantaquattro sono ancora vivi e se voi non siete Lancillotto sono disposto a liberarli.»
«Vedo bene che se fossi un certo uomo potrei avere pace e, se fossi un altro, tra noi vi sarebbe una guerra mortale» osservò allora ser Lancillotto. «Ora però, signor cavaliere, dovete sapere che sono proprio ser Lancillotto del Lago, figlio di re Ban di Benwick e cavaliere della Tavola Rotonda e che vi sfido a fare del vostro meglio!»
«Ah, Lancillotto, per me siete più benvenuto di chiunque altro!» esclamò ser Turquin. «Non ci separeremo prima che uno dei due sia morto.»
Si avventarono di nuovo l’uno contro l’altro come tori selvaggi, tagliando e sferzando con gli scudi e le spade tanto che più volte caddero a faccia in giù. E, dopo altre due ore di battaglia ininterrotta, ser Lancillotto era ferito in più punti e il terreno dello scontro inzuppato di sangue.
Come ser Turquin fu ucciso, e come ser Lancillotto ordinò a ser Gaheris di liberare tutti i prigionieri
Ma ser Turquin ora cominciava a indebolirsi e a perdere terreno. Così, quando la stanchezza lo costrinse ad abbassare lo scudo, Lancillotto gli balzò addosso, lo afferrò per la parte inferiore della visiera e lo mise in ginocchio; poi gli strappò l’elmo e gli tagliò il collo con un solo colpo di spada.
«Sono pronto ad accompagnarvi, ora» disse infine alla damigella. «Ma purtroppo non ho più il cavallo.»
«Prendete quello del cavaliere ferito e ordinategli di andare al castello a liberare i prigionieri» gli suggerì la fanciulla.
Ser Lancillotto, avvicinatosi a Gaheris, gli chiese se non gli dispiacesse se gli prendeva il cavallo in prestito, e l’altro glielo offrì con gioia dicendo che aveva salvato sia lui che il suo destriero.
«Voglio anche dirvi che siete il cavaliere più valoroso del mondo» aggiunse «perché avete ucciso davanti ai miei occhi l’uomo più forte che avessi mai visto. Vi prego, signore, ditemi chi siete.»
«Lancillotto del Lago, ed era mio dovere e mio diritto aiutarvi sia per l’affetto che nutro verso Artù sia per amore di vostro fratello Galvano. Troverete in quel maniero vari cavalieri della Tavola Rotonda; ho visto appesi a un albero gli scudi di ser Kay, di ser Brandite, di ser Moroldo, di ser Galihud, di ser Brian di Listenoise e di ser Aliduke insieme ad altri che non ho riconosciuto e a quelli dei miei parenti ser Ector di Maris e ser Lionello. Salutateli da parte mia e dite loro che prendano pure tutto quello che troveranno nel castello; i miei congiunti vadano poi ad aspettarmi a corte dove conto di raggiungerli per la Pentecoste. Ora devo andare con questa damigella per mantenere una promessa che le ho fatto.»
Lancillotto si allontanò, e Gaheris entrò nel castello dove incontrò un guardiano, lo gettò a terra, gli prese le chiavi e andò subito ad aprire la porta della prigione per liberare i prigionieri. Questi si tolsero i ceppi a vicenda e poi ringraziarono quello che credettero il loro liberatore, che appariva coperto di ferite.
«È stato ser Lancillotto a uccidere ser Turquin in leale combattimento: l’ho visto con i miei stessi occhi» disse però loro Gaheris. «Egli vi saluta tutti e vi prega di tornare subito a corte. Chiede anche che ser Lionello e ser Ector di Maris lo aspettino lì.»
«No, invece, a costo della vita lo andremo a cercare!» esclamarono quelli.
«Anch’io, e non tornerò a corte prima di averlo trovato, come è vero che sono un cavaliere!» dichiarò ser Kay.
Poi frugarono il castello alla ricerca dell’armeria e, oltre alle armi di cui si provvidero, trovarono anche i propri cavalli e le bardature. Si apprestavano a partire, quando arrivò un guardaboschi con quattro cavalli carichi di pingue cacciagione.
«Ecco della buona carne per un pasto!» osservò ser Kay. «Sono vari giorni che non mangiamo un buon pranzo.» Perciò la selvaggina fu arrostita, lessata o cotta al forno, e dopo il desinare alcuni decisero di fermarsi ancora per la notte, mentre ser Lionello, ser Ector di Maris e ser Kay si allontanavano alla ricerca di ser Lancillotto.
Come Lancillotto cavalcò con la damigella e uccise un cavaliere che molestava le dame e un villano che era a guardia di un ponte
Torniamo ora a ser Lancillotto che cavalcava con la damigella per una bella strada.
«Signore» gli disse a un certo punto la fanciulla «è da queste parti che abita il cavaliere che vi dicevo, che molesta le dame e le gentildonne quando addirittura non le viola.»
«Ma come, è allo stesso tempo ladro, cavaliere e stupratore!» si meravigliò Lancillotto. «Se davvero disonora in questo modo l’ordine della cavalleria rinnegando il suo giuramento, è un peccato che sia ancora in vita. Adesso andate avanti da sola; io mi terrò nascosto e, se lo sorprenderò a molestarvi, verrò in vostro soccorso e gli insegnerò a comportarsi da cavaliere.»
La damigella mise il cavallo a un dolce ambio e proseguì da sola; non passò molto che il cavaliere sbucò con un paggio dal bosco e la strappò di sella. La fanciulla gridò e ser Lancillotto la raggiunse velocemente e apostrofò il malfattore:
«Falso cavaliere, traditore della cavalleria, chi ti ha insegnato a molestare le dame e le gentildonne?»
Quello non rispose al rimprovero e invece trasse la spada e gli mosse incontro. Allora Lancillotto gettò via la lancia, sguainò a sua volta la spada e con un solo fendente sull’elmo gli spaccò la testa e il collo fino alla gola.
«Ora hai avuto la ricompensa che ti spettava!» disse allora la fanciulla. «Turquin faceva imboscate ai cavalieri e costui, il cui nome era ser Moris della Foresta Selvaggia, si dedicava invece a molestare le donne.»
«Damigella, avete bisogno che vi presti qualche altro servigio?» le domandò allora ser Lancillotto.
«Per ora no, signore. Che l’Onnipotente vi conservi ovunque andate, perché siete un cavaliere davvero cortese e affabile con le dame. Però credo che vi manchi una cosa, perché non siete sposato né innamorato; infatti non ho mai sentito dire che abbiate mai amato una dama o una fanciulla, a qualunque condizione appartenessero, e questo è un vero peccato. Però corre voce che il vostro cuore sia preso dalla regina Ginevra e che ella, con un incantesimo, abbia fatto in modo che non amiate che lei e che nessun’altra donna possa darvi la felicità. Per questo non poche dame di questa contrada, di alto come di basso lignaggio, si dicono molto addolorate.»
«Bella damigella» le rispose il cavaliere «non posso impedire alla gente di dire quel che vuole, ma non penso affatto di prendere moglie, perché dovrei restare al suo fianco trascurando le armi, i tornei, le battaglie e le avventure. Quanto poi ad avere delle amiche, rifiuto il piacere che esse potrebbero darmi soprattutto perché sono timorato di Dio. Vedete, i cavalieri che si danno all’adulterio e al libertinaggio non sono felici o fortunati in battaglia, e sono quasi sempre sopraffatti da cavalieri meno abili, oppure per caso e per mala sorte uccidono uomini migliori di loro. Credo quindi che sarà sempre un infelice l’uomo che ha delle amanti, e che tutto ciò che avrà a che fare con lui sarà perseguitato dalla sorte.» Lasciata la damigella, ser Lancillotto cavalcò per più di due giorni attraverso una profonda foresta in cui trovò solo degli scomodi alloggi. Al terzo giorno stava superando un lungo ponte, quando fu improvvisamente assalito da un orrendo villano che percosse il suo cavallo sul naso e lo fece voltare, e poi gli chiese perché attraversasse il ponte senza il suo permesso.
«Perché non dovrei? Non posso certo passare da fuori!» replicò Lancillotto.
«Allora non avrai scelta» disse il villano, gettandoglisi addosso con una robusta mazza rivestita di ferro.
Ser Lancillotto sguainò la spada e parò il colpo; poi spaccò la testa al villano fendendolo fino in mezzo al petto. All’altra estremità del ponte, però, vide riuniti gli abitanti di un grazioso villaggio che vi sorgeva e sentì che gridavano:
«Non avresti potuto mai farti un danno peggiore di questo, perché hai ucciso il guardiano capo del nostro castello!»
Ser Lancillotto li lasciò dire e proseguì fino alla rocca; vi entrò, smontò, legò il cavallo a un anello nel muro e si diresse verso una bella corte erbosa che gli sembrò adatta per battersi; allora si guardò intorno e vide le porte e le finestre piene di gente, e tutti gli dicevano con commiserazione:
«Come sei sventurato, bel cavaliere!»
Martina Michelangeli x Medievaleggiando