Come ser Lancillotto uccise due giganti e liberò un castello
Ed ecco farglisi incontro due enormi giganti ben armati ma a capo scoperto, che brandivano delle orribili mazze. Ser Lancillotto si riparò dietro lo scudo, parò il colpo che uno dei due gli aveva vibrato e gli spaccò il cranio con un solo fendente. L’altro, preso dal terrore alla vista della potenza del cavaliere, cercò di fuggire come impazzito, ma Lancillotto lo rincorse e, quando lo ebbe raggiunto, lo tagliò in due dalle spalle all’ombelico. Poi si diresse verso la sala del castello. Allora vide arrivare sessanta donne, dame e damigelle, che si inginocchiarono davanti a lui ringraziando Dio per averle liberate.
«Siamo prigioniere qui da sette anni e, pur essendo tutte nobili gentildonne, siamo state costrette a guadagnarci il pane tessendo e lavorando la seta» gli spiegarono. «Sia benedetta l’ora in cui nasceste, cavaliere, perché avete compiuto un’azione onorevole che non dimenticheremo mai. Diteci come vi chiamate, così che possiamo riferire ai nostri amici il nome di colui che ci ha liberate.»
«Mi chiamo ser Lancillotto del Lago.»
«Ah, signore, deve essere proprio vero, perché siamo convinte che nessun altro avrebbe potuto avere ragione dei due giganti. Altri cavalieri che vi si sono provati hanno trovato solo la morte. Del resto, in tutti gli anni in cui vi abbiamo aspettato, eravate l’unico che i giganti temessero davvero.»
«Allora riferitelo ai vostri amici e salutateli da parte mia» disse Lancillotto. «E se mi capiterà di venire nei vostri paesi mi potrete accogliere con l’affetto che riterrete di dovermi. Intanto, prendete pure liberamente i tesori che si trovano qui in ricompensa delle pene che avete patito, però vorrei che il signore del castello ne rientrasse in possesso, come è suo diritto.»
«E il castello di Tintagel, signore, e un tempo apparteneva al duca di Cornovaglia, marito della bella Igraine che più tardi sposò re Uther Pendragon. Artù lo ricevette da lei.» «Ah, ecco a chi appartiene adesso!» esclamò Lancillotto. Raccomandate le dame a Dio, il cavaliere proseguì il suo peregrinare attraversando contrade sconosciute e selvagge, fiumi e vallate, trovando sempre pessimi alloggi finché un giorno, verso sera, gli capitò di arrivare a una bella corte dove fu ospitato da una vecchia gentildonna che lo accolse con molta cortesia. Quando fu l’ora del riposo, l’ospite lo accompagnò in una graziosa cameretta che si trovava proprio sopra alla porta d’ingresso del maniero, e il cavaliere si tolse l’armatura, si coricò e si addormentò subito. Dormiva profondamente, quando fu svegliato dal rumore di qualcuno che bussava con impazienza alla porta principale. Allora si alzò per guardare alla finestra, e alla luce della luna vide un cavaliere accanto alla porta e altri tre che gli si gettavano contro e lo attaccavano tutti insieme di spada. Il primo, che riconobbe come ser Kay, cercava di difendersi coraggiosamente.
«Andrò ad aiutarlo» si disse subito Lancillotto «mi vergogno di vedere tre cavalieri battersi contro uno solo, e se ser Kay morisse io sarei complice del suo omicidio.» Così prese l’armatura e con un lenzuolo si calò sulla testa dei combattenti intimando agli assalitori di misurarsi con lui. Ebbe in tal modo inizio un violento scontro, perché i tre, smontati di sella, gli si fecero sotto da tutte le parti contemporaneamente. Ser Lancillotto, però, visto che ser Kay si apprestava a venirgli in aiuto, lo pregò di tenersi in disparte, e poi con sei soli colpi gettò a terra gli avversari costringendoli a chiedere misericordia.
«Ci arrendiamo perché nessuno è valoroso quanto voi» dissero.
«Non accetto la vostra resa. Vi salverò la vita solo a patto che vi consegnate a ser Kay» replicò ser Lancillotto.
«Bel cavaliere, questo ci dispiacerebbe; lo abbiamo seguito sin qui e lo avremmo vinto se non foste intervenuto voi; perciò non vi è ragione che ci rendiamo a lui» essi risposero.
«Allora pensateci bene: potete scegliere se vivere o morire, ma se vi consegnerete lo farete a ser Kay» ribadì Lancillotto.
«Vi obbediremo, ma solo per salvarci la vita» si decisero infine gli altri.
«Dunque andrete alla corte di re Artù per la Pentecoste e vi consegnerete alla regina Ginevra affidandovi alla sua grazia e alla sua misericordia, e dicendole che vi ha mandato ser Kay quali suoi prigionieri.»
«Sarò fatto, sulla nostra parola» si impegnarono i tre cavalieri giurando sulle spade.
Dopo averli lasciati andare, ser Lancillotto bussò alla porta del castello con il pomo della spada, e l’ospite gli venne ad aprire e lo invitò a entrare insieme al compagno dicendogli:
«Vi credevo a letto.»
«Infatti c’ero, ma mi sono alzato e mi sono calato dalla finestra per aiutare un vecchio amico.»
Solo allora, avvicinatosi alla luce, ser Kay riconobbe Lancillotto; perciò si inginocchiò e lo ringraziò per averlo salvato due volte dalla morte.
«Non ho fatto che il mio dovere. Ora siate il benvenuto e riposatevi» replicò il cavaliere.
Dopo essere stato liberato delle armi, ser Kay chiese se poteva avere del cibo e mangiò di buon appetito, poi tutti andarono a coricarsi e Lancillotto e Kay furono fatti dormire nello stesso letto. Il mattino dopo, Lancillotto si alzò presto e, senza svegliare il compagno, indossò la sua armatura, imbracciò il suo scudo e poi andò nelle scuderie a prendere il cavallo; infine, congedatosi dall’ospite, si rimise in cammino. Quando ser Kay si svegliò e vide che il suo corredo non c’era più, esclamò:
«In fede mia, si vede che Lancillotto vuole dare qualche dispiacere a qualcuno della corte di re Artù! I cavalieri si faranno baldanzosi credendo di avere a che fare con me e saranno tratti in inganno. Io, invece, potrò cavalcare in pace!»
Poco dopo ringraziava la dama che lo aveva ospitato e si allontanava a sua volta.
Come ser Lancillotto, vestito con l’armatura di ser Kay, abbatté tre cavalieri
Torniamo ora a ser Lancillotto che, dopo aver cavalcato a lungo attraverso un’ampia foresta, penetrò in una contrada pianeggiante solcata da bei fiumi e da verdi prati, e vide davanti a sé un lungo ponte su cui erano eretti tre padiglioni di seta e di zendado di diversi colori. Sulle porte si tenevano tre cavalieri novelli e fuori vi erano appesi tre scudi su dei tronconi di lancia; altre lance lunghe e robuste erano collocate per diritto vicino alle tende. Ser Lancillotto passò loro davanti senza dire una parola, e appena egli si fu allontanato i tre giovani osservarono che doveva trattarsi di ser Kay.
«Nonostante le varie prove contrarie, crede sempre di essere il più bravo di tutti» aggiunse uno che si chiamava ser Gauter. «È tracotante, quindi lo seguirò e lo assalirò. Vedrete se non riuscirò a vincerlo.»
Indossò le armi, si appese lo scudo alla spalla, montò su un grande destriero, afferrò una lancia e galoppò dietro a ser Lancillotto.
«Fermati ser Kay, orgoglioso cavaliere, non te la caverai senza danni!» gli gridò quando gli fu vicino.
Ser Lancillotto si voltò, e i due, messe le lance in resta, si corsero incontro a grande velocità; ma a ser Gauter si spezzò l’arma mentre ser Lancillotto lo rovesciava in terra insieme al cavallo.
«Quel cavaliere non può essere ser Kay: è più grosso» si dissero allora gli altri due.
«Ci scommetterei la testa che ha ucciso il siniscalco e gli ha preso cavallo e armatura» disse l’altro, ser Gilmere.
«Che sia o no così, ora montiamo a cavallo e andiamo ad aiutare Gauter» disse il terzo che si chiamava Arnold ed era fratello degli altri due. «Avremo il nostro da fare a fronteggiare quel cavaliere! A giudicare dalla corporatura si direbbe che sia Lancillotto, Tristano o anche il buon ser Pelleas.» Gilmere e Arnold montarono lesti in sella e raggiunsero ser Lancillotto; poi il primo abbassò la lancia e gli corse addosso, ma cadde svenuto dagli arcioni.
«Signor cavaliere» disse allora ser Arnold «siete un uomo forte e, poiché credo che mi abbiate ucciso due fratelli, il mio cuore addolorato si erge contro di voi. Tuttavia, se potessi fare a meno di battermi senza perdere l’onore, me ne asterrei volentieri, ma poiché non posso non prendere le loro parti, mettetevi in guardia!»
Si corsero incontro con tutte le loro forze e spezzarono le lance. Allora incrociarono furibondi le spade, mentre ser Gauter, che si era rimesso in piedi, ordinava al fratello ser Gilmere:
«Alzati, dobbiamo andare ad aiutare Arnold che si sta battendo a meraviglia con quel valoroso.»
Balzati sui cavalli, si fecero addosso a ser Lancillotto che però, avendoli visti arrivare, con un colpo mandò in terra Arnold, poi si volse contro gli altri atterrandoli con due fendenti. Ser Arnold si rialzò e, con la testa coperta di sangue, mosse di nuovo all’attacco, ma Lancillotto gli disse:
«Ora basta, non ero molto lontano da voi quando foste fatto cavaliere, ser Arnold, e so anche che siete coraggioso: perciò non voglio proprio trovarmi costretto a uccidervi.»
«Vi ringrazio per la vostra bontà, signore, e a nome mio e dei miei fratelli vi dichiaro che non ci dispiace di arrenderci a voi: conosciamo il vostro nome e sappiamo con certezza che non siete ser Kay» gli rispose ser Arnold.
«Sia come sia, dovrete comunque rendervi a madama Ginevra e fare in modo di trovarvi alla sua presenza per la Pentecoste: vi dichiarerete suoi prigionieri e le direte di esserle stati mandati da ser Kay» replicò Lancillotto.
I tre fratelli giurarono in tal senso, poi, mentre Lancillotto proseguiva per la propria strada, cercarono di soccorrersi a vicenda come meglio poterono.
Come ser Lancillotto giostrò con quattro cavalieri della Tavola Rotonda e li sopraffece
Lancillotto cavalcava per una fitta foresta quando scorse in una vailetta quattro cavalieri sotto una quercia. Erano tutti della corte di Artù, e si trattava di ser Sagramore l’Impetuoso, di Ector di Maris, di ser Galvano e di ser Ivano che, non appena lo videro a loro volta, credettero che fosse ser Kay.
«In fede mia, voglio mettere alla prova la sua forza» disse ser Sagramore, impugnando la lancia e avanzandogli incontro.
Lancillotto capì subito le sue intenzioni: abbassò la propria lancia e lo colpì talmente forte che lo rovesciò in terra insieme al cavallo.
«Guardate che botta si è preso, amici» gridò allora ser Ector. «Quel cavaliere è molto più grosso di ser Kay. Ora vedrete cosa gli saprò fare io.»
Afferrò una lancia e galoppò verso Lancillotto, che però lo fece volare in terra con il cavallo trapassandogli lo scudo e una spalla senza nemmeno spezzare la propria arma.
«In fede mia, è davvero molto forte» disse allora ser Ivano. «Sono sicuro che deve aver ucciso ser Kay. Penso che non sia facile misurarsi con un cavaliere tanto possente.»
Ciononostante, prese un’asta e gli corse incontro. Ser Lancillotto aveva riconosciuto lui come gli altri: gli si gettò addosso sul terreno pianeggiante e gli affibbiò un colpo tale da lasciarlo confuso e stordito.
«Vedo che adesso tocca a me» disse allora ser Galvano, imbracciando lo scudo e impugnando una buona lancia.
Ser Lancillotto si era messo in guardia: lasciarono correre i cavalli al galoppo e cozzarono con le punte delle aste nel centro degli scudi, ma, mentre quella di ser Galvano si spezzava, la lancia di Lancillotto rovesciava in terra il cavallo dell’avversario, e questi durò gran fatica a liberarsene.
«Dio rimeriti colui che ha fatto questa lancia, la migliore che abbia mai impugnato!» esclamò ser Lancillotto allontanandosi con un sorriso.
Intanto i quattro cavalieri si erano avvicinati per confortarsi a vicenda.
«Che ve ne pare delle sue imprese?» chiese ser Galvano agli altri. «Ci ha disarcionati tutti con una sola lancia!»
«Lo raccomandiamo al diavolo, perché è un uomo di incredibile potenza!» esclamarono gli interpellati a una sola voce.
«Lo potete ben dire, e ci scommetterei la testa che è ser Lancillotto: lo riconosco dal modo in cui cavalca. Ma ora lasciamolo andare, tanto lo sapremo quando arriveremo a corte.»
Poi penarono molto per riprendere i cavalli.
Come ser Lancillotto inseguì una cagna in un castello dove trovò un cavaliere morto, e come poi una damigella gli chiese di curare il fratello
Parliamo ora di ser Lancillotto che, dopo aver cavalcato a lungo, vide una cagna nera che sembrava cercare qualcosa come se fosse sulle tracce di un cervo ferito. Avvicinatosi, il cavaliere si accorse anche che il terreno era cosparso di grosse macchie di sangue. La cagna intanto spiccava la corsa e, senza mai smettere di guardare indietro, si inoltrava in una vasta palude. Ser Lancillotto, che non la perdeva d’occhio, la vide superare un ponte ed entrare in un vecchio maniero. Il cavaliere la seguì, e si accorse che il ponte appariva vetusto e fragile. Quando poi entrò nella sala, trovò la cagna intenta a leccare le ferite di un cavaliere di bell’aspetto che vi era disteso nel centro, morto. Poco dopo compariva una dama che, piangendo e torcendosi le mani, gli disse:
«Che dolore mi avete dato, cavaliere!»
«Perché dite così?» replicò Lancillotto. «Non sono stato io a fare del male a quest’uomo; sono arrivato qui per caso, seguendo la cagna e le tracce di sangue. Perciò, bella dama, non dovete essere adirata con me, che anzi sono molto addolorato nel vedervi tanto triste.»
«È vero, signore, credo proprio che non abbiate ucciso voi mio marito, perché vi assicuro che colui che lo ha fatto deve essere ferito tanto gravemente da non poterne forse guarire.»
«Come si chiamava il vostro signore?»
«Ser Gilbert il Bastardo, ed era uno dei migliori cavalieri del mondo. Non so però chi lo abbia ucciso.»
«Che Dio possa recarvi conforto!» le augurò Lancillotto allontanandosi.
Tornato nella foresta, si imbatté in una damigella che lo conosceva.
«Sono contenta di avervi incontrato, signore» gli disse. «In nome della vostra cavalleria, vi prego di aiutare mio fratello che oggi si è battuto con ser Gilbert il Bastardo e lo ha ucciso in leale combattimento, ma è rimasto ferito gravemente e perde molto sangue. Nel castello qui vicino abita una dama, una maga, che mi ha detto che potrà guarire solo se un cavaliere prenderà dalla Cappella Perigliosa una spada e un abito insanguinato in cui è avvolto un cavaliere ferito e toccherà con quegli oggetti le sue piaghe.»
«E un prodigio!» esclamò Lancillotto. «Ma ora, ditemi, come si chiama vostro fratello.»
«Ser Meliot di Logris, signore.»
«È un cavaliere della Tavola Rotonda e perciò farò il possibile per aiutarlo.»
«Allora, signore, seguite questa strada: vi condurrà direttamente davanti alla Cappella Perigliosa» gli disse la fanciulla. «Io vi aspetterò qui finché, con l’aiuto di Dio, sarete di ritorno. Se non porterete a termine voi questa avventura, non lo potrà fare alcun altro cavaliere al mondo.»
Come ser Lancillotto entrò nella Cappella Perigliosa e tolse una veste e una spada a un cadavere
Ser Lancillotto si diresse veloce verso la Cappella Perigliosa, e quando vi si trovò davanti smontò di sella e legò il cavallo a una porticina, poi entrò nel camposanto e vide sulla facciata della cappella vari scudi preziosi e di ottima fattura, ma tutti appesi capovolti, e ricordò di averne visti alcuni al braccio dei rispettivi proprietari. Ma poi si accorse che gli si erano avvicinati trenta cavalieri più alti di una iarda di qualunque uomo avesse mai visto e vestiti di armature nere che, protetti dagli scudi e con le spade sguainate, sogghignavano digrignando i denti. Le loro espressioni gli misero una grande paura; allora egli si pose davanti lo scudo ed estrasse la spada preparandosi a battersi. Ma, quando si accinse ad avanzare in mezzo ad essi, quelli si dispersero da tutte le parti cedendogli il passo. Lancillotto, ripreso coraggio, entrò nell’oscura cappella rischiarata solo da una fioca lampada che ardeva illuminando un cadavere avvolto in un drappo di seta. Si chinò e tagliò un pezzo di stoffa, ed ecco che il corpo si mosse sotto di lui come se la terra avesse tremato leggermente. Ne fu di nuovo spaventato, tuttavia raccolse la bella spada che si trovava sul pavimento accanto al cadavere e si affrettò ad uscire. Tornato nel camposanto, i trenta cavalieri lo apostrofarono con voci sinistre:
«Ser Lancillotto, deponi quella spada o morirai!»
«Che io viva o muoia, non vi basterà minacciarmi per averla: se la volete dovrete combattere» replicò Lancillotto superandoli e uscendo indenne dal cimitero.
Stava per rimontare a cavallo, quando una bella damigella gli si fece incontro ordinandogli di lasciare la spada se voleva salva la vita.
«Nessuna supplica potrebbe indurmi a farlo» egli le rispose.
«Ah no? Vuol dire che non vedrete mai più la regina Ginevra!» lo minacciò la fanciulla.
«Sarei comunque uno sciocco se lasciassi quest’arma.»
«Gentile cavaliere, vi chiedo allora di baciarmi anche una sola volta» lo supplicò la damigella.
«Dio non voglia!»
«Ebbene, signore, sappiate allora che se aveste acconsentito i giorni della vostra vita sarebbero finiti» gli svelò la fanciulla. «Ora, ahimè, ho sprecato la mia fatica, perché avevo fatto preparare la Cappella Perigliosa per amor vostro e di ser Galvano. Una volta che egli si trovava in mia compagnia, gli avvenne di battersi con il cavaliere che avete visto morto nella cappella e di mozzargli la mano sinistra. Ora, ser Lancillotto, dovete sapere che io vi amo da sette anni e che, poiché nessuna donna può avere il vostro corpo vivo, avevo deciso che non mi sarebbe rimasta altra gioia che di averlo morto; allora lo avrei imbalsamato e fasciato e tenuto con me per tutta la vita, e avrei potuto abbracciarvi e baciarvi a dispetto della regina.»
«Siete stata chiara, ma che Gesù mi salvi dalle vostre magie!» esclamò il cavaliere montando a cavallo e allontanandosi. Il libro dice che la damigella fu talmente addolorata per la sua partenza che morì nel giro di due settimane, e che il suo nome era Hellawes la maga, signora del Castello della Negromanzia.
Poco dopo Lancillotto ritrovò la sorella di ser Meliot che batté le mani e pianse di gioia nel rivederlo. Cavalcarono insieme al castello dove si trovava ser Meliot e lo trovarono di un pallore terreo per la perdita di sangue. Tuttavia riuscì a inginocchiarsi implorando l’aiuto del cavaliere; allora Lancillotto si affrettò a toccare le sue ferite con la spada della cappella e poi ad asciugargliele con il pezzo di veste insanguinata, e ben presto non vi fu un uomo più sano di ser Meliot. Fratello e sorella fecero grandi feste a Lancillotto che però, il mattino seguente, prese congedo dicendo a Meliot di andare a corte dal suo signore Artù perché la Pentecoste era vicina e, con la grazia di Dio, vi avrebbe poi ritrovato anche lui.
Come ser Lancillotto recuperò un falcone su richiesta di una dama da cui poi fu tradito
In seguito ser Lancillotto attraversò molti paesi sconosciuti, cavalcando per paludi e per vallate, finché si imbatté per caso in un bel castello. Lo stava superando, quando gli parve di sentir suonare due campanelle e vide un falcone che gli volava sul capo e andava a posarsi su un alto olmo, dove i lunghi geti che portava legati alle zampe gli si attorcigliavano a un ramo. Quando l’uccello tentò di volare via, rimase appeso a testa in giù. Mentre ser Lancillotto guardava dispiaciuto il bel falco pellegrino prigioniero, una dama uscì dal castello e si mise a gridare:
«Lancillotto, com’è vero che siete il fiore dei cavalieri, aiutatemi a recuperare il mio falcone. Lo tenevo in mano e mi è sfuggito, e se si perdesse il mio signore, violento com’è, mi ucciderebbe.»
«Come si chiama il vostro signore?» le domandò il cavaliere.
«Ser Phelot, ed è cavaliere del re del Galles del Nord.» «Ebbene, bella dama, poiché mi conoscete e fate appello alla mia cavalleria, cercherò di riprendere il vostro falco. Ma Dio sa che sono un maldestro scalatore e per di più l’albero è molto alto e ha pochi rami a cui appigliarsi.»
Intanto era smontato, aveva legato il cavallo all’albero e pregato la dama di disarmarlo. Poi si tolse tutti gli abiti salvo la camicia e le brache e si arrampicò con grande fatica fino a che ebbe raggiunto l’uccello. Allora legò i geti a un grande ramo secco e lo gettò giù insieme al falco; ma mentre la dama riprendeva in mano l’animale, d’improvviso da dietro un cespuglio sbucava ser Phelot completamente armato e con la spada in pugno.
«Lancillotto, finalmente vi ho trovato!» gli gridò.
E si mise in agguato vicino al tronco pronto ad ucciderlo.
«Ah, signora, perché mi avete tradito?» chiese Lancillotto alla dama.
«Ha solo eseguito i miei ordini» gli rispose invece il marito. «Ora non avete scampo: è giunto il momento della vostra morte.»
«Se voi che siete armato uccideste a tradimento un uomo nudo sareste disonorato» osservò Lancillotto.
«Non avrete misericordia lo stesso. Quindi, se potete, cercate di salvarvi» gli rispose l’altro.
«Sarà davvero una grande vergogna per voi!» insisté il cavaliere. «Prendete almeno la mia armatura e appendetemi la spada a un ramo che possa raggiungere. Poi potrete cercare di mettermi a morte, se vi sarà possibile.»
«No, no, vi conosco meglio di quanto crediate; non avrete armi finché riuscirò a tenervene lontano.»
«Ahimè, che peccato che un cavaliere debba morire senza le armi in mano!» esclamò Lancillotto.
Poi guardò intorno, in basso e in alto e vide che sopra la sua testa vi era la cima disseccata dell’albero, un grosso ramo senza foglie. Allora lo staccò dal tronco, si calò più in basso e aspettò che il suo cavallo si trovasse nella posizione adatta, poi balzò d’improvviso in arcioni mettendosi il più possibile lontano dall’assalitore. Ser Phelot gli si gettò contro, ma egli parò il colpo con il ramo e poi glielo abbatté sulla tempia facendolo finire a terra svenuto. Allora gli strappò la spada di mano e gli mozzò la testa.
La dama perse i sensi, mentre ser Lancillotto raccoglieva l’armatura e si affrettava a indossarla per timore di un agguato, dal momento che il castello del morto era molto vicino. Perciò prese il cavallo e partì più in fretta che poté, ringraziando Dio per essere scampato all’avventura.
Come ser Lancillotto raggiunse un cavaliere che inseguiva la moglie per ucciderla, e cosa gli disse
Ser Lancillotto cavalcò poi per lande selvagge, acquitrini e strade deserte, ma un giorno capitò in una valle dove vide un cavaliere che inseguiva una dama con la spada sguainata e con l’evidente intenzione di ucciderla. Proprio mentre stava per soccombere, la donna scorse Lancillotto e cominciò a gridare che la salvasse. Di fronte a quel misfatto, il cavaliere non esitò a spingere il proprio cavallo tra i due dicendo:
«Vergogna, cavaliere! Perché volete uccidere questa dama? Fate onta a voi stesso e alla cavalleria!»
«Non vi mettete di mezzo tra me e mia moglie, tanto la ucciderò vostro malgrado!» replicò l’altro.
«No, dovrete invece battervi con me.»
«Ser Lancillotto, non spetta a voi decidere, perché questa dama mi ha tradito.»
«Non è vero!» intervenne la donna. «È lui che mi calunnia. Io nutro un grande affetto per un mio cugino germano, ed egli ne è geloso anche se, come è vero che ne dovrò rispondere a Dio, non abbiamo mai peccato. Signore, poiché avete fama di essere il cavaliere più valoroso che vi sia al mondo, chiedo alla vostra lealtà di avere cura di me e di salvarmi, perché mio marito è spietato e mi ucciderà qualunque cosa gli diciate.»
«Non dubitate, non vi riuscirà» le rispose Lancillotto.
«Signore, finché sarò sotto i vostri occhi mi farò guidare da voi» disse improvvisamente il marito.
Allora ser Lancillotto proseguì il cammino dopo aver loro ordinato di mettersi ai suoi fianchi. Ma aveva percorso solo pochi passi, quando il cavaliere gli disse di guardare indietro perché c’erano degli uomini armati che li inseguivano. Lancillotto, senza sospettare inganni, si voltò, e il marito si portò in fretta dalla parte della dama e le tagliò di netto la testa.
«Traditore, mi hai disonorato per sempre!» proruppe Lancillotto alla vista di quel che aveva fatto.
Poi smontò lesto di sella e sguainò la spada per ucciderlo.
Il marito però si gettò in terra, gli abbracciò le gambe e lo implorò di salvarlo.
«Cavaliere senza vergogna, tu non hai avuto pietà! Perciò alzati e battiti» gli rispose Lancillotto.
«No, finché non mi accorderete mercé.»
«Allora ti faccio una proposta conveniente: mi disarmerò e mi batterò in camicia. Se riuscirai a uccidermi, sarai libero per sempre.»
«No, signore, questo non lo farò mai.»
«Allora prendi questa dama e la sua testa e mettile in spalla; dovrai giurare sulla mia spada che le porterai sempre con te e non ti fermerai finché non sarai davanti alla regina Ginevra.»
«Lo farò, signore, ve ne do la mia parola.»
«Ora dimmi il tuo nome.»
«Mi chiamo Pedivere.»
«Sei nato nell’ora della vergogna!» concluse Lancillotto. Pedivere partì con il cadavere e la testa della dama e, trovata la regina a Winchester con il re Artù, le riferì tutta la verità. «Signor cavaliere» gli disse la regina «avete commesso un’azione vergognosa e disonorevole e arrecato una grave offesa a ser Lancillotto, il cui valore è universalmente riconosciuto. Ora questa sarà la vostra penitenza: ricorrete a qualunque mezzo, ma portate il corpo di vostra moglie dal papa di Roma e da lui riceverete la pena per la vostra infamia. Non dovrete riposare neppure due notti nello stesso posto, e su qualunque letto vi coricherete, dovrete distendervici accanto al cadavere.»
Il cavaliere prestò giuramento in tal senso e si mise in cammino; il libro francese dice che quando giunse a Roma il papa gli ordinò di tornare dalla regina Ginevra, mentre la moglie veniva sepolta nella città a cura del pontefice. Dopo di che ser Pedivere divenne molto buono e santo e si fece eremita.
Come ser Lancillotto arrivò a corte, e come riferì tutte le sue nobili gesta e imprese
Torniamo ora a ser Lancillotto del Lago che, con grande gioia del re e della corte, tornò a casa due giorni prima della festa della Pentecoste. E quando ser Galvano, ser Ivano, ser Sagramore e ser Ector di Maris videro che indossava l’armatura di ser Kay, capirono che era stato lui a disarcionarli tutti con una sola lancia e si misero a ridere fra di loro. Intanto, a uno a uno, tornavano i cavalieri che erano stati prigionieri di ser Turquin e che resero grandi onori a ser Lancillotto.
«Ho assistito allo scontro dall’inizio alla fine» riferì allora ser Gaheris, aggiungendo i particolari e dichiarando che ser Turquin era stato, dopo Lancillotto, il cavaliere più forte che avesse mai visto.
Sessanta cavalieri confermarono la sua testimonianza. Dopo di che ser Kay raccontò al re come Lancillotto lo avesse salvato da morte certa costringendo gli avversari ad arrendersi a lui, ser Kay, invece che al vero vincitore, e tutti e tre quei cavalieri, che erano presenti, confermarono le sue parole.
«E, nel nome di Gesù, siccome Lancillotto si era preso le mie armi lasciandomi le sue, io ho viaggiato in pace e nessuno ha voluto misurarsi con me» aggiunse ser Kay.
Poco dopo arrivarono i tre cavalieri che si erano battuti con Lancillotto sul ponte e si arresero a ser Kay, che però li lasciò liberi dicendo di non aver mai combattuto con loro.
«Tuttavia voglio togliervi un peso dal cuore: ecco laggiù ser Lancillotto che vi ha vinto» disse però.
E quelli ne furono molto lieti.
Tornò a casa anche ser Meliot di Logris e disse al re che ser Lancillotto gli aveva salvato la vita. Poi furono narrate tutte le sue altre imprese: come fosse stato imprigionato dalle quattro regine maghe e come fosse stato liberato dalla figlia di re Bagdemagus, e anche le prodezze che aveva compiuto con i due re, cioè con il sovrano del Galles del Nord e con Bagdemagus stesso. Anche ser Gahalantine, ser Mador della Porta e ser Mordred, che erano stati presenti a quel torneo, riferirono come si erano svolti i fatti, così che Lancillotto fu il più rinomato tra tutti i cavalieri del mondo, tenuto in grandissimo onore dai nobili come dal popolo.
Explicit il VI libro che contiene la nobile storia di ser Lancillotto del Lago.
Martina Michelangeli x Medievaleggiando