Anno domini 314 d.C. L’imperatore Costantino è colpito dalla lebbra.

Quasi morente decide controvoglia di seguire le indicazioni dei sacerdoti pagani: immergersi nel sangue di fanciulli. Ma un attimo prima di dare l’ordine, lo sguardo delle madri in lacrime dissuadono l’imperatore dal seguire questa “terapia” anti-lebbra.

Rassegnatosi all’idea di una morte imminente, gli compaiono in sogno i santi Pietro e Paolo, i quali gli rivelano che la sua guarigione sarebbe avvenuta solo attraverso l’intervento dell’allora papa Silvestro. L’imperatore Costantino allora convoca Silvestro e, ascoltate le parole papali, si converte al cristianesimo. È poco dopo battezzato e guarisce dalla terribile malattia. Sull’onda della gratitudine l’imperatore dona al papa e ai suoi successori l’impero, il suo potere temporale, la capitale dell’impero, l’Italia e le provincie occidentali, oltre al diritto di incoronare i sovrani. Questo diritto doveva essere esercitato dal papa sino alla fine dei tempi, e nessuna autorità laica avrebbe potuto annullare questo privilegio.

Da questo racconto appena narrato, tratto dagli Actus Silvestri, è nata una vera e propria leggenda.  Il testo degli Actus, databile secondo molti studiosi all’incirca agli inizi del V secolo, è frutto di aggiunte di varie tradizioni circolanti oralmente.

Ma al di là dell’interesse che questo racconto può aver alimentato, relativo alla storicità e alla datazione della conversione dell’imperatore Costantino al cristianesimo, ciò che ha destato maggiore interesse per le successive implicazioni storico politiche, resta appunto l’atto giuridico da parte della massima carica imperiale di donare il diritto di esercitare il potere temporale (auctoritas) alla Chiesa, oltre che un territorio su cui poter esercitare tale diritto. 

Circolava addirittura un documento scritto che testimoniava e legittimava l’atto della donazione: la celebre Donazione di Costantino (Constitutum Constantini o Donatio Costantini), ovvero la copia del contenuto del foglio firmato e datato dall’imperatore, che avrebbe riposto sulla tomba del beato Pietro.

Accettato come documento autentico durante il Medioevo, il Costituto venne citato nel corso degli anni dai diversi pontefici, intenti a rivendicare il potere supremo della Chiesa sull’impero.

Sono state avanzate diverse ipotesi e non si è riusciti a chiarire del tutto l’origine di questo falso. La teoria più accreditata è quella che ipotizza che il documento apocrifo sarebbe nato nell’ambiente della Curia romana nella seconda metà dell’VIII secolo.

Solo nel ‘400 cominciarono i primi tentativi per screditare l’autenticità della Donazione, con strumenti storico-critici più filologici, sollecitati dai movimenti riformisti proprio nel periodo conciliare. Già Dante qualche anno prima riteneva la donazione non un falso, ma la rinuncia al potere da parte dell’imperatore cosa giuridicamente illegittima e, cosa ancora più grave, la causa della corruzione in cui versava la Chiesa. 

«Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
non la tua conversion, ma quella dote
che da te prese il primo ricco patre!» (Inf. XIX, vv. 115-117).

 

Fu il filosofo tedesco Niccolò Cusano a presentare al Concilio di Basilea nel 1433 un documento nel quale sosteneva che il testo del Costituto era apocrifo e che la donazione non fosse mai avvenuta. Ma è sicuramente l’opera di Lorenzo Valla che diede una svolta alla disputa. Nel suo trattato La falsa donazione di Costantino (De falso credita et ementita Constantini donatione) del 1440 smaschera il documento con strumenti filologici e prove convincenti, condite da una narrazione drammatica, infervorata e con un uso studiato di strumenti retorici.

Nel 1440 il regno di Napoli è conteso da Renato D’Angiò, terzogenito della casa angioina e attuale re di Napoli, e da suo cugino Alfonso D’Aragona, principe spagnolo della casa reale di Trastamara d’Aragona e allora governante sulla Sicilia. 

Dopo 2 anni, Alfonso D’Aragona riesce a deporre Renato e a prendere il potere, che sarà detenuto dagli Aragonesi fino al 1503. Le strategie politiche e di propaganda oltre che belliche messe in campo dall’aragonese per conquistare il regno di Napoli furono molteplici. Bisognava in prima istanza attaccare il protettore degli Angioini: il potentissimo papa Eugenio IV. E proprio contro il papa, Alfonso scatena il filologo Lorenzo Valla.

Nel De falso credita Valla immagina un dialogo con Firmiano Lattanzio, l’autorevole storico cristiano vissuto proprio ai tempi di Costantino, soprannominato il “Cicerone cristiano” per lo stile elegante e il suo periodare articolato. Valla si dice indignato che uno psuedo-scrittore abbia potuto imitare in maniera così nefasta la lingua di Lattanzio. 

Nella prima parte dell’opera attacca sotto il profilo giuridico l’atto della donazione.

«E prima di tutto, dico che Costantino e Silvestro non erano in grado, il primo certamente di voler donare, di poterlo fare legalmente, e di avere il potere di trasferire le terre ad altri; il secondo poi non era tale da voler accettare e da poter accettare legalmente. In secondo luogo, […] il possesso delle cose che si dice siano state donate, […] rimasero sempre sotto il potere e il dominio dei Cesari» (I,6).

 

Nei capitoli successivi passa poi a deridere, attraverso un’attenta analisi linguistica e terminologica, il testo originale. Esorta lo scrittore Lattanzio a tornare in vita e a ribellarsi contro questo falso e al modo di scrivere proprio da stalliere, che anzi produce un suono simile a un asino che raglia.

Usa inoltre anche confutazioni storiche ed evidenzia tutti gli anacronismi presenti nel falso.

«Abbiamo conferito alle chiese dei beati apostoli Pietro e Paolo fondi di possessioni per tener accese le lampade […].

O furfante, a Roma c’erano chiese, cioè templi, dedicate a Pietro e Paolo? Chi le aveva costruite? Chi avrebbe osato edificarle? Come dice la storia, i ritrovi cristiani non erano che dei luoghi appartati e nascosti. Ovvero, se a Roma ci fossero stati templi dedicati a quegli apostoli, non sarebbero stati degni di farvi accendere tante lampade, essendo tabernacoli sacri, non santuari; cappelle, non templi; oratori entro le abitazioni private, non edifici sacri pubblici» (IV, 45).

L’opera di Valla è una declamatio, una declamazione pubblica che lo studioso recitò di fronte ad Alfonso d’Aragona e al cardinale di Napoli. Un commentario continuo che analizza e spezzetta frase per frase il testo originario della Donazione. Nel trattato si alternano una parte in corsivo che riporta il testo originale e una parte in tondo che riporta il commento del filologo. 

Lorenzo Valla analizza l’usus scribendi, il modo di scrivere dell’autore del falso, e si rende conto che la lingua usata nella donazione non è del IV secolo. Il filologo oltre a conoscere il latino usato ai tempi di Costantino attraverso uno studio attento delle opere degli autori classici, conosce anche il greco, appreso presso l’umanista Aurispa e la sua conoscenza del diritto, studiato a Pavia, non è da meno. Così da buon filologo si serve della conoscenza linguistica, della conoscenza giuridica e di quella storica per smascherare il testo apocrifo.

Il manoscritto fu ovviamente inserito dalla Chiesa nell’Indice dei libri proibiti. Ma ebbe comunque molta diffusione e fu successivamente stampato in diversi esemplari in ambiente luterano.

E nonostante attenta opera di svelamento del falso, il papato continuerà a esercitare e a detenere il potere su gran parte dei territori elencati nella donazione, questo sino alla breccia di Porta Pia del 1870.

 

Orlando Tarallo

 

Per approfondire:

Canella T., Gli Actus Silvestri. Genesi di una leggenda su Costantino imperatore, Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto medioevo, 2006.

Vian G.M., La donazione di Costantino, Bologna, Mulino, 2004.

Valla L., La falsa donazione di Costantino, Milano, RCS, 1994.

Share This Story, Choose Your Platform!

Written by : Redazione

Iscriviti alla nostra Newsletter

Leave A Comment