È con immenso piacere che oggi siamo in compagnia del Professor Tommaso di Carpegna Falconieri, esponente di spicco del medievalismo italiano e medievista affermato. È professore associato di Storia medievale all’Università di Urbino, dove conduce ricerche sulla storia di Roma e dell’Italia centrale. I suoi studi più recenti sono dedicati all’invenzione del Medioevo dopo il Medioevo e alla sua rappresentazione nella contemporaneità. Tra i suoi libri più noti: Cola di Rienzo (Salerno editrice, 2002, tradotto in francese); L’uomo che si credeva re di Francia. Una storia medievale (Laterza 2005, tradotto in inglese, francese e turco); Medioevo militante (Einaudi 2011, tradotto in spagnolo, francese e inglese). 

Il suo ultimo libro Nel labirinto del passato. 10 modi di riscrivere la storia (Laterza 2020) è dedicato alle manipolazioni e alle falsificazioni di cui è stata ed è oggetto la Storia, per tornare a comprendere a cosa serve e restituirle il ruolo che le compete nella società contemporanea. 

Iniziamo dunque questa chiacchierata, che abbiamo trascritto mantenendone volutamente il tono aperto e discorsivo. 

 

1. Innanzitutto Professore La ringraziamo di aver accettato il nostro invito. Come prima cosa, avremmo il piacere di parlare della puntata di “Passato e Presente” di cui è stato ospite lo scorso 3 dicembre. In quell’occasione la trasmissione è stata incentrata sul “Medioevo Fantastico” che, se non erriamo, ha fatto per la prima volta la sua comparsa sul piccolo schermo come materia di studio.  

Penso di sì. È la prima occasione in cui la parola “medievalismo”, che usiamo noi – praticamente soltanto noi –, ha avuto un’audience piuttosto alta. Credo che la puntata di Rai3 abbia fatto oltre 700.000 spettatori, senza contare le views su RaiPlay, dove è sempre disponibile, e le repliche su RaiStoria. 

Secondo me è stata una cosa molto utile perché ha introdotto un concetto che tutti possiedono vagamente ma che pochi hanno ancora razionalizzato, cioè l’esistenza di un rapporto tutto da riscoprire tra il Medioevo che è esistito davvero e il Medioevo che ci siamo inventati noi o comunque che come aspetto principale ha quello di essere fantastico (che in fondo è ciò che ci piace di più). Sicuramente è stato un bel risultato.

 

2. Come ha giustamente esposto prima, per noi che lo studiamo il “medievalismo” è già conosciuto e oggetto di approfondimenti. Come si può spiegare invece cos’è il medievalismo al grande pubblico? In che termini possiamo farlo?

Diciamo che ormai ho sviluppato alcuni sistemi attraverso i quali riesco a far capire facilmente cos’è il medievalismo.

Il primo concetto da mettere in campo è “il Medioevo dopo il Medioevo”, quindi tutto quello che è stato sviluppato come concettualizzazione del Medioevo da quando il Medioevo è finito.

Questo permette di introdurre il discorso anche nei termini di storia della storiografia portandolo a un livello culturale piuttosto alto. Lo stesso si può fare usando come parola fondamentale quella di “rappresentazione”: esiste una realtà, più o meno avvicinabile, ma poi di questa realtà esiste una rappresentazione e noi andiamo a osservare quest’ultima. È quello che Renato Bordone descriveva con la metafora dello “Specchio di Shalott”, il filtro che comunque poi ci permette di avvicinarci a una realtà. Siamo in un ambito di rapporto con la storiografia, anche in questo caso, ma le fonti sono diverse: non sono più medievali ma molto più recenti. Un altro sistema è parlare, come ho fatto in alcune occasioni, di un Medioevo del quale siamo “figli” e di uno di cui invece siamo “genitori”. Trovate su RaiStoria una breve intervista in cui ho parlato di questo argomento. Dire che siamo figli del Medioevo è palese, è lampante per tutti, perché c’è una discendenza genealogica: noi deriviamo da elementi che sono accaduti nel Medioevo; ma dire che noi siamo “genitori del Medioevo” significa che noi gli abbiamo dato una connotazione, cioè che l’abbiamo creato. Questi sono tutti modi abbastanza semplici per far capire cos’è il medievalismo. Ma forse il più semplice di tutti è chiedere:

“Dimmi la prima cosa che ti viene in mente quando pensi al Medioevo”.

Risponderanno:

“Penso al castello, penso al cavaliere, alla strega, al drago”.

Bene; la seconda parte della frase per lo studente sarà: “Questo non è Medioevo ma medievalismo, cioè la rappresentazione del Medioevo”. Questi sono tutti sistemi didattici abbastanza efficaci da cui si può partire.

 

3. Quindi, secondo Lei, il medievalismo aiuta ad interessarsi al Medioevo reale, storico.

Dal punto di vista della didattica ha una sua funzione che, vi dirò, è molto simile a quella della maieutica socratica, utile anche per i medievisti che studiano il Medioevo duro e puro lavorando sulle fonti medievali. Parlo di maieutica nel senso che parti dal destinatario e lo porti nel tuo discorso e non viceversa: prima ascolto che cosa hai da dire e poi ti porto nel mio mondo. Il mondo di partenza del 99% delle persone, cioè di chi non è specializzato nella storia medievale, non è medievale ma è medievalista. Io, anche facendo una lezione di storia medievale, posso partire da lì perché inizio dal luogo comune, dal cliché, dalla rappresentazione, dal libro di Giuseppe Sergi L’idea di medioevo fra storia e senso comune.

 

4. Ha sollevato una questione interessante: il medievalismo può avere una dignità di studio, può essere un veicolo per il Medioevo nel mondo contemporaneo. Come ha detto Lei, partendo dal cliché possiamo poi riportare gli studenti “alla Storia”, però si ha l’impressione che in Italia ci sia un problema con lo studio del medievalismo che non si riscontra all’estero. Sembra infatti che altrove venga studiato di più rispetto all’Italia.

Ci sono da fare dei grossi distinguo. Non è vero che all’estero in generale vi sia questa vicinanza con il medievalismo; da molti punti di vista l’Italia è avanti. Ci sono Paesi in cui solo ora si comincia a parlare di medievalismo, come il Portogallo, dove (virtualmente) il mese scorso abbiamo tenuto un convegno sul tema. La Francia, per dire, è arrivata al medievalismo con ritardo rispetto all’Italia. È quasi un paradosso, perché la Franca l’invenzione del medioevo l’ha vissuta profondamente: il medioevo così come ce lo rappresentiamo, praticamente l’hanno creato i francesi insieme agli inglesi e ai tedeschi; poi però, rispetto a questi ultimi, la consapevolezza del medievalismo da parte francese è più recente, come potete notare se guardate le date di pubblicazione di alcune opere: quella di Christian Amalvi, Le goût du Moyen âge, per esempio, che è uno dei primissimi testi usciti in Francia, è degli anni Novanta, di circa venti anni successiva ai primi studi in Italia, Stati Uniti e Germania. Nella conferenza che ho tenuto in Portogallo ho discusso proprio il problema del medievalismo come oggetto e contemporaneamente disciplina: medievalismo è sia il contenuto che il contenitore.

Secondo me la difficoltà maggiore in Italia è quella di riconoscere il posizionamento accademico del medievalismo, cioè di capire a quale disciplina appartiene. Appartiene alla medievistica? Secondo me sì, perché è una forma di storia della storiografia, in cui io non sto studiando solo i testi medievali, i processi storici di quell’epoca e gli studiosi che se ne sono occupati professionalmente, ma sto usando, sto tenendo in considerazione un contesto molto più ampio di testimonianze, qualsiasi racconto sul Medioevo, che pertanto è sempre storiografia, ma in senso ampio.

Mentre invece una parte dell’Accademia è ancora molto ancorata al concetto di autenticità del dato storico e quindi diciamo che da questo punto di vista fa un po’ di fatica a riconoscerlo come interno alla medievistica; anche perché il discorso di fondo è che il medievalismo fa parte dei cultural studies, cioè è un tipo di studio molto collegato alla società contemporanea.

  • Quindi è visto come un fenomeno culturale contemporaneo a tutti gli effetti.

Esatto, un fenomeno culturale contemporaneo, ma strettamente collegato alla Storia, al suo racconto, alle sue rappresentazioni, all’uso che se ne fa. Il problema allora è proprio questo: chi lo deve studiare questo fenomeno culturale? È sufficiente che lo studi un sociologo? Oppure ci vuole qualcuno che abbia una competenza storica? E questo storico dovrà essere un medievista o un contemporaneista? Ecco il problema del posizionamento, che mi accorgo essere molto evidente quando ci sono dei tentativi di ingresso nei dottorati di ricerca. Se io presento una tesi sul medievalismo ma il progetto di ricerca non è ben congegnato, la prima obiezione che mi viene fatta è: “Ma questo progetto non è del settore disciplinare M-STO/01, perché questa è una tesi di storia contemporanea”. Perché tu – per esempio – non stai facendo una tesi sul Medioevo, ma una tesi sul modo in cui il Fascismo ha recepito il Medioevo. Ma questa non è proprio storia della storiografia? E allora non appartiene anche alla medievistica?

Il problema è che molte discipline non hanno ancora capito quanto è necessaria l’ibridazione. Questa è ovvia, è evidente, diciamo che è stata profetizzata da Umberto Eco cinquant’anni fa.

E, se vogliamo, la sua presenza nella riflessione storiografica è ancora precedente, perché fonda nella semplice e fondamentale idea di Benedetto Croce che tutta la storia è storia contemporanea. Dunque anche il medievista sta facendo storia contemporanea e di conseguenza deve tenere in considerazione ciò che nel mondo attuale il Medioevo significa. Il problema, allora, è quello della presenza di una sclerosi, cioè di un blocco, che non è però tipicamente italiano, perché è molto presente anche in Francia, in Spagna e in Germania. Solo nei paesi anglofoni, il medievalismo è più presente e sdoganato. Ma non per questo è studiato meglio. Perché lì il medievalismo viene studiato principalmente nel dominio degli studi letterari. Rispetto all’Italia, c’è una bella differenza.

Se fate una piccola storia del medievalismo in Italia e andate a vedere gli studi di Bordone, di Licinio, di Musca, i “Quaderni Medievali”, etc. etc., noterete che questo campo di studi è nato proprio in seno alla medievistica, è una specie di branca eretica della medievistica, mentre invece in Inghilterra e negli Stati Uniti, ha una forte connotazione letteraria, spesso riferita alla letteratura ottocentesca.

È vero, gli inglesi dell’Ottocento si sono inventati il medievalismo: pensate per esempio a Walter Scott, a John Ruskin, a Lord Tennyson. Però noi in Italia cerchiamo anche di risalire dal medievalismo al Medioevo, mentre spesso negli studi dei paesi anglofoni questo passaggio non lo troviamo, è considerato meno interessante. Se parliamo di stratificazione, di “palinsesto”, come diceva Gérard Genette, possiamo dire che spesso loro si fermano al livello moderno e non considerano il rapporto con il livello medievale. Ma sotto un testo ci può essere un altro testo di cui si rinviene ancora la traccia, proprio come avviene in un palinsesto, che è un codice la cui scrittura è stata grattata via per usarlo come nuovo materiale scrittorio, ma in cui la scrittura più antica riappare in trasparenza. Come accade nei famosi palinsesti altomedievali di Bobbio. Immettere questa chiave interpretativa è fondamentale, perché permette di ragionare nei termini di livelli di maggiore, minore o inesistente aderenza di un elemento medievalista rispetto a un elemento medievale storicamente documentato. Cosa che, per uno storico, non è poco.

Facciamo un esempio: io ho un racconto, un romanzo fantasy e alla base di questo ho un ipotesto. Prendiamo Tolkien: alla base di Tolkien ci può essere un secondo livello che magari è William Morris e ancora alla base di Morris ci può essere la Morte di Artù di Malory, ed ecco che si è arrivati al Medioevo. Il concetto, che sembra ovvio per la letteratura, si può applicare a tutte le concezioni medievaliste: a volte il Medioevo sta nascosto e fa capolino, a volte invece non c’è per nulla, il prodotto medievalista è una pura invenzione contemporanea. Ma chi se ne può accorgere? Il medievista, ovviamente. A proposito di tutto questo discorso, una delle domande che mi hanno fatto in occasione del convegno portoghese è stata:

“Ma Lei ritiene che non sia un po’ difficile, per uno studioso di medievalismo, padroneggiare contemporaneamente la storia medievale e anche la storia del periodo in cui si è prodotto l’elemento medievalista? Uno studioso di medievalismo deve conoscere bene sia il Medioevo che l’Ottocento?”

E io ho risposto:

“Sì, è esattamente così, non puoi farne a meno. È una disciplina che ti obbliga a conoscere i due momenti, uno magari lo conoscerai meglio e l’altro un po’ meno, ma li devi assolutamente padroneggiare entrambi. Perché uno ti permette di studiare il fenomeno, l’altro di capire come questo fenomeno è stato interpretato nel corso del tempo, fino a coinvolgere la tua stessa persona di studioso che vive nel presente.”

 

5. Ci colpisce una cosa che ha detto, perché abbiamo avuto modo di approfondire il “medievalismo americano”. E, come ha detto Lei, gli americani hanno cominciato a studiare il Medioevo dal “sogno” del Medioevo. Si sono innamorati di un’epoca che non hanno vissuto e l’hanno reinterpretata, fino a quando lo storico Norman Cantor non si espresse in maniera decisa nei confronti dei suoi colleghi, medievisti e medievalisti, invitandoli ad usare un metodo più storico per i loro studi. Quindi possiamo dire che per noi, che l’abbiamo vissuto realmente, per tutta l’Europa, è più facile approcciare alla verità storica del Medioevo piuttosto che per un Paese che lo sogna come “altrove”, come segno di continuità e appartenenza ad un “Vecchio Continente”?

È una bella domanda, interessante. Si può rispondere anche in modo paradossale: da noi è più facile avvicinarci al Medioevo e anche al medievalismo perché ne riconosciamo di più la complessità e gli intrecci. Vi traduco questa riflessione in un modo che secondo me è emblematico: in un ambiente che considera meno rilevante l’elemento medievale, tu puoi stressare il concetto di invenzione delle tradizioni, cioè puoi dire che in realtà comincia tutto nel Settecento o nell’Ottocento, mentre in un mondo come quello italiano, in cui ti rendi conto che c’è un substrato medievale molto robusto, allora lì subentra il rabberciamento di Umberto Eco. Il rabberciamento – andatelo a vedere nei Dieci modi di sognare il Medioevo – vuol dire che io mi rendo perfettamente conto che c’è un cambiamento nel corso del tempo ma che questo cambiamento non elimina una presenza massiccia, fisica, di quello che c’è stato in precedenza. È quello che una studiosa chiama “rimodellamento” – refashioning. Io a Los Angeles prendo un contenitore di forma medievale che può essere una chiesa romanica che ho visto in Italia e la vado a riprodurre, mentre in Italia il Duomo di Milano ha un cantiere che è continuato imperterrito dal Trecento all’Ottocento; allora non puoi dire che il duomo di Milano è neogotico, perché non lo è, anche se le ultime guglie le hanno messe al tempo di Napoleone. La struttura è comunque antica.

Infatti, dice Umberto Eco: “Si paga, se mai, il biglietto per visitare il tempio greco o la galleria dei busti dei filosofi, ma nel duomo di Milano o nella chiesetta del Mille si va ancora ad ascoltar la messa, e si elegge il nuovo sindaco nel palazzo comunale del XII secolo”, proprio perché c’è questa cosa che lui chiama “rabberciamento utilitaristico”.

Allora questa è una differenza molto forte tra Paesi che hanno conosciuto il Medioevo e ancora se lo sentono addosso, e Paesi che lo vivono in una forma mediata come sono gli Stati Uniti e altri paesi ‘occidentali’ sparsi per il mondo come la Nuova Zelanda o l’Australia. Detto questo, il fatto di avere il Medioevo sempre sotto gli occhi può essere anche un ostacolo al riconoscimento del medievalismo: secondo me il ritardo della Francia è stato determinato dal fatto che la riproposizione del Medioevo nell’Ottocento è stata talmente enorme, talmente importante per la definizione dell’identità nazionale, che per molto tempo il medievalismo è stato visto come sovrapposto e indistinto rispetto alla storia medievale.

  • Quindi il tentativo di andare a scoprire cosa fosse vero e cosa no poteva essere visto anche come un attacco all’identità nazionale.

Anche, certo. E comunque non vado a dire che Viollet-le-Duc si è inventato tutto, anche se di cose se n’è inventate tante.

Comunque esistono effettivamente delle differenze strutturali nei modi in cui nei diversi Paesi si studia il medievalismo e questo è un argomento che, secondo me, in un prossimo convegno internazionale si potrebbe discutere.

Tra l’altro, ve lo anticipo, è uno degli elementi che noi individuiamo nell’introduzione al libro che stiamo pubblicando con l’École française, gli atti del convegno “The Middle Ages in the Modern World” (MAMO) del 2018, dove parliamo proprio di questo incontro tra rappresentazioni diverse, dei vari modi di concepire la disciplina, però in un amalgama, perché alla fine comunque ci capiamo. Anche se parliamo inglese, francese o italiano, alla fine siamo tutti nello stesso campo.

 

6. Lei ha citato il “MAMO”, la conferenza internazionale che si è tenuta a Roma nel 2018, di cui Lei è stato anche organizzatore se non ricordiamo male. Ma oltre a questa e al convegno in Portogallo, Lei qui in Italia è riuscito a riproporre spesso il medievalismo: possiamo citare la presenza di un panel dedicato durante il “Festival del Medioevo” o il convegno “Il Medioevo fra noi” che si tiene ogni anno tra Urbino e Gradara. Quindi possiamo dire che queste conferenze rivolte al grande pubblico hanno in qualche modo avvicinato l’Accademia e l’utente finale. Il medievalismo, in fin dei conti, ha svolto il ruolo di collante tra queste due realtà.

Ha fatto da collante sia nella dimensione che abbiamo detto prima, della maieutica che ti permette di avvicinarti, sia anche nel discorso che fa adesso l’Università, che è cambiato rispetto a prima, ovvero quello di favorire la disseminazione, in cui è forte il concetto di “Terza missione”. Accanto alla didattica e alla ricerca esiste la terza missione, che è molto importante e, dirò di più, è anche vicina come concetto alla public history, nella misura in cui la public history è qualcosa che si fa in forma plurale, là dove non c’è soltanto un docente e un discente ma c’è un gruppo che si organizza e che crea insieme qualcosa. E il medievalismo è un cantiere molto interessante.

 

7. Viaggiamo tutti insieme quindi verso la stessa direzione. Possiamo dire che riuscire ad aprire le porte ad una materia ambivalente come il medievalismo potrebbe salvare in realtà quello da cui trae la sua fonte vitale. In America, per esempio, molti professori hanno affermato che stanno sparendo le cattedre di Storia Antica, mentre non è lo stesso per i corsi di Storia Medievale, perché gli studenti che si iscrivono vengono attratti all’inizio da tutti i prodotti dei revival che possono essere film, fumetti, giochi di ruolo etc. Questo li porta poi a scegliere di approfondire la storia medievale, quindi possiamo affermare che, a suo modo, il medievalismo può salvare gli studi storici propriamente detti.

Proprio per questa ragione non bisogna mandarlo alla deriva, non deve andare per conto suo, deve formare l’oggetto di studio di persone che lo sanno fare. È questo il punto.

  • A tal proposito vorremmo chiederLe, essendo un mix tra storia medievale, storia contemporanea, sociologia, etc., e considerando che ne copre veramente tanti di ambiti – basti pensare che il medievalismo è ovunque, dalla pittura all’architettura, alla politica, alla letteratura – come si approccia correttamente lo studio del medievalismo?

È una domanda troppo difficile questa, non credo che ci sia una risposta semplice. Dal mio punto di vista il medievalismo si approccia in termini di analisi della testimonianza e di storia della storiografia. Quindi io osservo innanzitutto la fonte e la fonte è l’elemento medievalista (dunque non, propriamente, medievale). Secondo poi entra in gioco l’ermeneutica. Non è che io derogo alla mia acribia, alla mia capacità di analisi perché semplicemente, in apparenza, questo è un elemento di analisi più semplice rispetto a un elemento medievale: non è affatto più semplice, perché, come ho detto, il medievalismo studiato dallo storico mette in comunicazione due epoche; devo tenere in conto anche tutto il mondo contemporaneo che io magari, come medievista, professionalmente conosco meno. Non c’è una ricetta secondo me, però uno dei modi attraverso i quali si può andare verso un miglioramento è proprio quello di sintonizzare persone che hanno specializzazioni diverse, ovvero che si avvicinano al medievalismo da punti partenza differenti, cercando poi una convergenza.

Detto in altri termini: i diversi punti di vista disciplinari possono entrare in circolo, possono essere condivisi, fornire chiavi ermeneutiche diverse e metterle a disposizione degli altri. Questa, a mio avviso è la chiave di volta.

Come il caso di Andrew Elliott: lui è un sociologo delle comunicazioni e ha un punto di partenza che con noi medievisti non c’entra niente, però poi è una persona con cui riesci perfettamente a dialogare, proprio perché esiste un centro del “problema” che tutti noi riusciamo a identificare. Io personalmente credo che una preparazione medievistica sia indispensabile, perché ti consente, se questo è il tuo interesse, di riconoscere il gap, la differenza, l’evoluzione, il cambiamento tra quello che si è prodotto nel Medioevo e il modo in cui è stato reinterpretato. Secondo me questo è fondamentale. Ci vuole una competenza piuttosto ampia dal punto di vista disciplinare, che può avere un punto di attacco di genere variabile.

Io personalmente, lo ripeto, sono convinto che la medievistica sia il migliore punto di partenza, ma forse lo dico perché sono un medievista.

Questo sarebbe veramente oggetto di un dibattito molto proficuo, anche perché la giusta competenza in realtà deriva dal tipo di domanda che ti fai. Se la risposta che vuoi ottenere è di tipo sociologico o economicistico, allora magari la medievistica ti interessa meno. Se tu vuoi studiare i videogames per vedere l’impatto di un certo tipo di immaginario nel pubblico giovanile di oggi, e non ti interessa quello che è il substrato medievale, ma ti interessa soltanto dire “questo tipo di immaginario ha un impatto colossale” è chiaro che il Medioevo “vero” ha un’importanza inferiore.

 

8. A questo punto vorremmo ricollegarci ai diversi tipi di medievalismi di cui parlavamo prima. Possiamo dire che, uno dei più famosi soprattutto per noi europei, è quello architettonico, considerando che da sempre l’idea di Medioevo è associata ai castelli e che, dall’Ottocento in poi, con Viollet-le-Duc e altri grandi architetti, abbiamo assistito a rivisitazioni neogotiche e fiabesche di diversi monumenti. Un altro medievalismo molto famoso, soprattutto nel XXI secolo, è sicuramente quello cinematografico che ha veicolato con il potere dell’immagine in maniera anche più diretta e immersiva l’idea di Medioevo. Mentre Lei è specializzato nel medievalismo politico che, tra tutti, è quello meno conosciuto ma forse è il più importante. Tutte le reinvenzioni delle tradizioni e i nazionalismi, per esempio, nascono da qui, in fondo. Quindi perché è importante essere consapevoli della sua esistenza ai giorni nostri?

Intanto non c’è una separazione netta neppure in questo caso, perché ovviamente il medievalismo politico si serve anche degli strumenti mediatici di cui abbiamo parlato. L’Aleksandr Nevskij di Ėjzenštejn e di Prokofiev, un capolavoro di cinematografia nonché di musica, è un esempio classico dell’uso politico del Medioevo nell’Unione Sovietica del 1938. È molto importante, credo, lo studio del medievalismo politico perché ti fa rendere conto di quanto non abbiamo a che fare semplicemente con un idealismo innocuo, culturale, un gioco tra bambini o cose del genere, ma che invece questo modo di rappresentare la realtà e il nostro rapporto con il passato veicola messaggi, modi di essere, proposte politiche estremamente forti. E questo noi lo sappiamo, lo sappiamo almeno dal principio dell’Ottocento in poi:

gran parte del medievalismo ha una costruzione ideologica, il medievalismo è una forma di ideologia e non a caso ha la desinenza “ismo” (guarda un po’ che strano). La sua componente ideologica è ciò che me lo fa ritenere particolarmente rilevante nel mondo di oggi, ed è ciò che consente di tenere desta l’attenzione anche sul Medioevo storico.

Ritorno alla mia professione di professore di Storia Medievale: in questo momento, quello che permette di tenere ben presente la storia medievale nel mondo di oggi, non è il dibattito sulla curtis o sulla tipologia del comune, ma è l’uso strumentale di elementi tratti dal Medioevo ‘bianco’, dai vichinghi, dagli anglosassoni, da parte del White supremacism: andate a leggere i blog di The Public medievalist

Questo è un confronto che ha permesso di aprire gli occhi davanti a una realtà storica – l’uso del Medioevo da parte delle estreme destre – che l’Europa continentale conosce da molto tempo, e di confrontarsi con un problema che, proprio in quanto storiografico, non è erudito ma politico, non è confinato nel passato ma è attuale. Temi molto in voga anche nella storia medievale, come i ruoli di genere, non possono prescindere dalla loro declinazione medievalista, pena il rischio di riportare la discussione in biblioteca quando è la piazza che la sta chiedendo.

Dunque il medievalismo politico ti permette oggi di capire che effettivamente la storia medievale è pesantemente presente nella cultura popolare contemporanea. Se vai in altri posti, come l’Europa orientale, te ne rendi ancora di più conto, perché trovi Paesi che dopo essere usciti dal blocco sovietico hanno ricreato la loro identità nazionale rispolverando ideologie medievaleggianti come si faceva nel corso dell’Ottocento. Insomma Orban noi lo capiamo anche attraverso la chiave medievalista, è questo il punto, così come capivamo Salvini finché alla Lega è servita la chiave retorica medievalista col Carroccio e Pontida, che adesso ha completamente abbandonato. La Lega Nord ha usato duramente questa chiave, anche nei rapporti con (contro) l’Islam e l’immigrazione. Insomma  bisogna acquisire consapevolezza. E acquisire consapevolezza vuol dire innanzitutto denominare, dare il giusto nome, come, ad esempio, si fa proprio adoperando il termine “medievalismo”. 

  • Possiamo dire Professore che mentre il medievalismo cinematografico, quello letterario, quello videoludico sono facilmente riconoscibili anche perché fanno riferimento ai media con cui sono diffusi, quello politico in realtà è presente dappertutto solo che noi non lo riconosciamo, perché non sappiamo che quello è medievalismo politico quando in realtà lo viviamo nella vita di tutti i giorni o quasi.

Perché è una differente classificazione, cioè in un caso io ho classificato attraverso il mezzo, come per esempio il cinema l’architettura, nell’altro caso io ho classificato attraverso …

  • Il fine.

Esattamente, bellissima spiegazione. In un caso ho individuato il mezzo e in un caso il fine. Cioè, se io sto studiando il Parlamento di Westminster dal punto di vista del suo mezzo – un’opera architettonica – questo oggetto è neomedievale, neogotico. Benissimo, ma perché è stato costruito così? Perché nel 1840 gli inglesi hanno detto: “Questo è il nostro stile nazionale”. Quindi il fine è pesantemente politico. In questo caso la storia dell’architettura si piega a una lettura fortemente politica. Lo stesso succede per esempio con lo stile “fascista”, che non è medievale, ma ti fa capire perfettamente il discorso.

Quindi ogni mezzo espressivo, che sia il cinema o che sia il fumetto, può avere (non è necessario che ce l’abbia, ma può avere) un fine politico e in certi casi questo fine politico è evidente.

Io personalmente ritengo che il modo più alto e più interessante di fare storia coinvolga l’ideologia, quindi credo che il medievalismo politico sia una chiave di lettura molto importante. Non è l’unica, ci mancherebbe altro, ma secondo me è una delle più interessanti.

 

9. A questo proposito Le vorremmo porre una domanda. Lei ha giustamente affermato che per tutto il mondo europeo le identità nazionali si vanno a riprendere, chi più chi meno, dal Medioevo. Cioè viene creato questo asse di continuità come se non ci fossero mai state interruzioni nel mezzo. Però, perché il Medioevo? Andando più nello specifico: noi qui in Italia, per esempio, abbiamo avuto l’Impero romano, che forse può essere considerato come il momento di più alta gloria della penisola italica. Quindi perché scegliamo il Medioevo e non le origini antecedenti?

Bisogna fare uno studio a seconda del posto che stai osservando e di che tipo di racconto nazionale è stato costruito. Il caso italiano è particolare perché noi qui abbiamo due mito-motori, Roma antica e il Medioevo.

In Italia l’idea che la nazione si sia fondata su Roma è stata ed è molto forte, soltanto che oggi è poco spendibile, non si può fare, perché se io vedo un fascio littorio non mi viene in mente che risale alla Roma repubblicana: mi viene subito in mente che è fascista. Cioè io non posso usare il mito di Roma oggi dicendo tranquillamente che questa è la culla dell’italianità, perché verrei immediatamente accusato di usare una retorica fascista. Dunque in realtà in Italia il nesso Roma/nazione non si può più usare facilmente. Invece, oggi in Italia il Medioevo acquisisce la funzione di fornire un sentimento di identità locale alle comunità cittadine. In altri posti, invece, il Medioevo assolve alla funzione di luogo di fondazione dell’identità in assenza di Roma, ovvero in alternativa a Roma. Magari fondendo tutto un lunghissimo passato che esclude la presenza romana e che rappresenta invece un elemento altro fortemente caratterizzato nella sua connotazione medievale, per cui io posso tranquillamente mettere insieme un bardo e un druido, che tra loro hanno una distanza di secoli se non di millenni, e andare a dire che tutto questo è celtismo, è altro, con una forte connotazione medievaleggiante.

In tanti posti, nel corso del tempo, si è fondata l’idea che il popolo si sia avviato a diventare nazione a partire dal Medioevo.Perché proprio il Medioevo? Questo discorso si può ancora approfondire tantissimo.

Una delle chiavi che sono appena emerse, ma che erano risultate interessanti nel programma di Mieli, era quella del modello tedesco. Il modello tedesco esclude Roma oppure la considera nemica: io posso avere Arminio, distruttore delle armate romane, come equivalente di un eroe medievale, anche se è di età romana. Poi ho i barbari che hanno distrutto l’Impero romano e inaugurano il Medioevo, che però ha una connotazione positiva, poi ho l’idea della nazione tedesca, dell’Impero germanico, etc. etc. Posso arrivare a dire che il Medioevo è tedesco. Un simile discorso si può declinare in modo diverso in vari altri luoghi. Certamente gli slavi possono fare lo stesso discorso, perché loro sono entrati nei territori che abitano ancora oggi a partire dall’Alto Medioevo. La grande Russia si forma così, la Germania si forma così, l’Inghilterra si forma così… Invece i paesi latini hanno una doppia strada, perché c’è sempre Roma. Infatti il neoclassicismo è fortemente collegato alla Rivoluzione francese e a Napoleone, mentre il romanticismo medievaleggiante tedesco nasce anche e proprio come opposizione rispetto alla Francia napoleonica.

 

10. A proposito di quanto ha detto, il medievalismo politico è affascinante perché è molto più “quotidiano” e “popolare” di quanto non lo siano gli altri. Volevamo farLe un esempio: non so se si ricorda la partita Italia – Serbia del 2010 che fu interrotta a causa delle sommosse dei capi ultras serbi. Tra loro spiccava Ivan Bogdanov che aveva tatuato sull’avambraccio destro la data 1389, oltre ad avere in diverse parti del corpo tatuaggi che riprendevano simbologie medievali. Potrebbe essere un caso di studio che un ultrà di una squadra di calcio si identifichi, tramite i simboli che ha scelto, come il portatore dei veri valori serbi. Quindi possiamo dire che il calcio, gli ultras e tutta un’altra serie di categorie in cui le persone si identificano potrebbero essere studiati per vedere, ad esempio, gli effetti quotidiani del medievalismo politico e dei valori che si sentono di trasmettere poi nel campo pratico.

Condivido perfettamente. Guardate tutte quelle squadre che hanno nomi come “Vikings”, o pensate alla strage commessa da Tarrant nella moschea in Nuova Zelanda, dove il colpevole aveva scritti sul mitragliatore nomi inneggianti a personalità storiche impegnate in battaglie contro i musulmani, o ancora ricordatevi di Breivik, che diceva di essere un templare. Il medievalismo politico è legato a una base molto elementare, molto di pancia. 

  • Forse è per questo che il Medioevo attrae così tanto, perché è abbastanza vicino a noi da poterlo riconoscere ma abbastanza lontano per poterlo reinventare in fondo.

Questa è sicuramente una chiave di lettura.

 

11. In ultimo volevamo chiederLe: secondo Lei quali saranno le prossime derive del medievalismo? Considerando anche l’impegno per trasmetterlo al grande pubblico, ci si può aspettare un futuro roseo?

Noi lo stiamo tenendo d’occhio. Intanto diciamo che il primo elemento positivo è che è stato parametrato e perimetrato, cioè ormai sappiamo con che cosa abbiamo a che fare.

Poi, io sono uno storico, non sono un giudice o un politico: a me le cose interessa capirle e capirle per me vuol dire storicizzarle. Già questo elemento è importante, perché la conoscenza poi ti permette anche l’azione. Dopodiché vedremo.

Oggi scorgo diverse direzioni. Alcune sono salutari, nel senso che effettivamente si ha la percezione che la consapevolezza del medievalismo sta migliorando e si sta diffondendo, dall’altra ve ne sono di dannose. Parlo delle derive che si verificano quando il gioco politico contemporaneo assume una forma becera, la sua forma banalizzante. È quello di cui parla Elliott quando definisce il “medievalismo banale”. Qui il discorso diventa doppio: da una parte c’è chi fa medievalismo in forma banale – come il serbo che ha tatuata la data della battaglia di Kossovo Polje – dall’altra c’è l’uso banalizzante e strumentale del medievalismo persino da parte di chi lo studia. Mi viene in mente quella lite furiosa che c’è stata in America tra Rachel Fulton Brown, una white anglosaxon protestant molto di destra, studiosa di letteratura inglese medievale, e Dorothy Kim, che invece è di origine asiatica, progressista, studiosa di medievalismo. Ci sono alcuni elementi da tenere in considerazione: da una parte parlando di bianchi guerrieri del Nord c’è il rischio di fornire più o meno consapevolmente strumenti retorici all’estrema destra; dall’altra, imbarcando guerrieri africani sulle navi vichinghe c’è il rischio di reinventarsi il Medioevo per la ragione opposta, volendolo assolutamente canalizzare la sua rappresentazione nel politically correct. Questo problema è molto presente nel dibattito oggi in corso sull’abbattimento delle statue di personaggi storici la cui memoria non è più condivisa. Sapete che oggi negli Stati Uniti si dice spesso che è giusto abbattere le statue di Colombo, che è diventato un simbolo della prevaricazione, del colonialismo, del genocidio. In realtà, a mio avviso questo è un errore grave, che corrisponde a quello che si chiama attualismo, o presentismo

Di questo parlo nel mio ultimo libro, Nel labirinto del passato, dove ragiono sul fatto che, se attribuisci al passato una responsabilità che non ha, lo stai traslocando nel tuo mondo presente. Questo non si può fare, non è fare storia. Il medioevo ritorna ancora una volta medievalismo.

  • Stai destoricizzando.

Esatto, stai destoricizzando e questo non va fatto. Se tu vedi per esempio il film Robin Hood – Il principe dei ladri, trovi come protagonisti Kevin Costner come Robin Hood e il suo grande amico Azeem che è interpretato da Morgan Freeman: perfetto. Quello è un film di fantasia, non c’è nessun problema, anzi è giusto: stai inserendo in un prodotto di finzione un personaggio che ti sei inventato. Il fatto che Azeem sia di origini africane, esprime un auspicio di convivenza civile che appartengono al mondo di oggi. Ma la BBC ha fatto la stessa cosa, ha inserito un uomo di evidente tipizzazione somatica africana in un documentario (dunque non in un film, ma in uno strumento di presentazione di una ricostruzione storica “autentica”) che riguardava la conquista dell’Inghilterra da parte di Guglielmo il Conquistatore. Qui abbiamo un normanno, il primo conte di Leicester, interpretato dall’attore Jotham Annan. Ma come può un normanno dell’XI secolo essere tipizzato come un uomo di origini africane? 

  • Recentemente c’è stato anche grande scalpore intorno a uno sceneggiato che presentava Anna Bolena interpretata da un’attrice di colore.

Vale lo stesso discorso. Se è un’opera letteraria o cinematografica di finzione, va bene, fai bene. L’opera può veicolare un messaggio anche politico, attraverso qualsiasi espediente. Ma se invece stai pretendendo di fare storiografia, allora non va più bene: la storia non si può inventare. Un conto è parlare di storia di genere, cioè restituire alle donne l’importanza che hanno (il che è sacrosanto), e un conto è inventarsi, che so, che nel medioevo fossero comuni delle donne combattenti. The Brave deve restare un bellissimo cartone animato: non ha niente a che fare con un saggio storico.

  • Non solo, con questa deriva politically correct, sia dal punto di vista della cultura pop sia da quella accademica, in realtà stiamo perdendo le armi che avevamo prima per combattere un certo tipo di ideologia. Perché la gente approccia al Medioevo per appropriarsi di un’identità che non ha, ma se mettiamo anche noi in discussione la verità storica e le diamo delle connotazioni che non ha, rischiamo di non avere più mordente per combattere le false informazioni. Qual è la realtà poi?

È proprio così. Se trasferisci nel passato le situazioni del presente, insomma, se inventi, stai davvero aiutando la storia? Stai ricostruendo i fatti con il rigore che è obbligatorio che possieda la storiografia, oppure stai offrendo il fianco a facili critiche, a questo punto anche di dilettantismo? In realtà non sei più credibile, perdi autorevolezza. Quindi questa è una deriva che io vedo come pericolosa. Il problema va affrontato serenamente. E per fortuna questo avviene anche in Italia. Già due anni fa abbiamo fatto una tavola rotonda, in occasione del convegno dei medievisti della SISMED a Bertinoro. Tra le domande che sono emerse, vi è stata molto giustamente quella su come si dovesse affrontare il rapporto tra Medioevo e suprematismo bianco. Il problema te lo devi porre, eccome, poi però bisogna vedere come lo risolvi. E non credo che lo si possa risolvere piazzando degli uomini di colore nell’Inghilterra dell’XI secolo: la soluzione è sbagliata.

  • Quindi, da una parte abbiamo questa deriva pericolosa del politically correct storicizzato. D’altra parte però si può notare come ci siano sempre più convegni, interventi, sia in Accademia che fuori legati al medievalismo volti all’interazione e all’integrazione del grande pubblico. Quindi possiamo dire che la Storia Medievale potrebbe essere amata di più in futuro dai giovani Le Goff del domani se riusciamo a comunicarla bene.

Secondo me sì. È comunque un campo in grande espansione. Facciamo molto bene a seguirlo, a starci dietro e in qualche modo a indirizzarlo.

  • Bisogna sempre seguire una linea guida, per evitare le derive di cui abbiamo parlato prima. Invece sa già quali impegni la attenderanno nel 2021?

Nel 2021 dovrebbero uscire gli atti del MAMO del 2018. A giugno speriamo di fare il convegno “Il Medioevo fra noi” a Urbino e a Gradara. Probabilmente ci occuperemo di “medievalismo verde”. Avevamo pensato a questo tema già per quest’anno, ma poi purtroppo non si è potuto fare; l’anno prossimo il convegno internazionale di Leeds sarà sul clima, quindi viaggiamo in parallelo: è una cosa interessante. Un altro convegno promettente è previsto in giugno. Organizzato dall’Istituto storico germanico, si occuperà di “medievalismo e fascismo”. Poi in settembre ci sarà chiaramente il Festival del Medioevo di Gubbio, in cui si parlerà di Dante. Sottolineerei anche il fatto che Umberto Longo, Francesca Roversi Monaco ed io abbiamo costituito di recente un Centro studi sul medievalismo presso l’Istituto storico italiano per il medioevo. Mi sembra una iniziativa molto importante, perché vuol dire che ormai stiamo portando questo tipo di studio nei templi della tradizione storiografica. Oggi all’Istituto storico l’edizione critica della fonte medievale si accompagna al ragionamento sull’impatto del Medioevo nel mondo contemporaneo: questa è una bella novità. 

 

Ringraziamo il Professor di Carpegna Falconieri per questa bella e illuminante chiacchierata e vi invitiamo a seguirlo nei suoi prossimi impegni, tra cui le presentazioni del suo libro Nel labirinto del passato, in cui è trattato approfonditamente l’argomento della nostra conversazione.

 

Martina Corona, Dario Medaglia

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Written by : Redazione

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