Quando si riflette sulla figura della donna in una prospettiva storica spesso c’è chi si rivolge ai popoli barbarici come esempi di libertà femminile rispetto alle culture che per prime abbracciarono il cristianesimo, ma ad un osservatore più attento potrebbe rivelarsi una situazione molto differente.
Guardando alla prima raccolta di leggi longobarde in cui si tratta anche della condizione giuridica della donna, ovvero l’Editto di Rotari (643 d.C.), sembrerebbe, ad un primo sguardo, che non ci sia alcun rapporto tra la tradizione longobarda e quella romana in merito al ruolo giuridico femminile. Eppure, anche se non esplicitamente scritte, si possono trovare alcune somiglianze. Un primo esempio riguarda la tutela della donna in entrambe le culture: la donna longobarda, alla quale non è riconosciuta la capacità giuridica, è sottoposta alla tutela del mundoaldo, ovvero del detentore del potere in famiglia, e in maniera simile la donna romana, pur avendo ottenuto nel tempo una distinta e completa capacità giuridica, continua a mantenersi sotto la potestà del capofamiglia (il potere che il capofamiglia aveva sulla moglie) del marito. Ovviamente le due potestà non sono simili e l’elemento che in questo caso determina il confronto è l’autorità di entrambe sulla figura femminile. La donna longobarda è sempre sottoposta alla potestà familiare e a quella del mundoaldo, mentre la donna romana, dopo l’affermarsi del matrimonio sine manu poteva invece emanciparsi e alla morte del capofamiglia, acquistare una completa capacità giuridica.
Si notano inoltre alcune somiglianze per quanto riguarda i rituali utilizzati nei matrimoni: in entrambe le tradizioni esisteva l’usanza di portare a casa del marito un complesso di beni utili per sostenere le spese del matrimonio, la dote nella tradizione romana e l’equivalente longobardo della faderfio, ed erano inoltre presenti anche gli sponsalia, le promesse da parte degli sposi e delle loro famiglie.
Nella prima metà dell’VIII secolo si assiste ad una commistione tra le due tradizioni a un livello ufficiale e formale, favorita dal cristianesimo, in particolare dal cattolicesimo al quale i Longobardi si convertirono alla fine del VII secolo. Con re Liutprando (690 ca. – 744) infatti si configurò un’altra fase della produzione legislativa e vennero emanate norme per il matrimonio tra donne longobarde e uomini romani (raramente accadeva il contrario), norme che sono solite definirsi miste (per esempio il capitolo 127 delle leggi di Liutprando). Una donna longobarda che sposa un romano diventa a tutti gli effetti romana e come tale dovrà rispettare la legge del marito. Grazie alla diffusione dei valori cristiani si ingentilirono i riti nuziali longobardi: l’introduzione della subharratio anuli (una promessa di perenne fedeltà dello sposo alla sposa) fu uno di questi, una celebrazione che trovo paragonabile alla cerimonia dell’anello nell’antica Roma, che a sua volta prevedeva un pegno da parte dello sposo che garantiva la validità del matrimonio.
Si può notare così che all’inizio della dominazione longobarda il rapporto tra le due civiltà, quella germanica e quella romana, era per lo più ufficiale e formale, ma che successivamente si comincia a notare una romanizzazione dei Longobardi, le cui leggi lo mostrano chiaramente, specie quando si guarda al ruolo della donna nella società.
Eleonora Morante
Per approfondire:
Le leggi dei Longobardi. Storia, memoria e diritto di un popolo germanico, a cura di C. Azzara e S. Gasparri, Viella, Roma 2005 (2° edizione aggiornata).
BELLOMO MANLIO, La condizione giuridica della donna in Italia: vicende antiche e moderne, Il cigno Galileo Galilei, Roma 1996.
CENERINI FRANCESCA, La donna romana, modelli e realtà, Il Mulino, Bologna 2002.
HUGHES DIANE OWEN, Il matrimonio nell’Italia medievale, in Storia del matrimonio, a cura di M. De Giorgio e C. Klapisch- Zuber, Editori Laterza, Bari 1996, pp. 5-61.