The Lord of the Rings: The Rings of Power è senza dubbio la più discussa serie fantasy del 2022, un fenomeno televisivo tale che non potevamo esimerci dall’affrontarlo.

Mandata in onda dal primo settembre 2022 e conclusasi il 14 ottobre, la serie, composta di 8 puntate, ci porta nella Seconda Era del mondo tolkieniano (dopo una breve introduzione ad alcuni eventi della Prima Era particolarmente rilevanti per la trama) dove scopriamo antichi regni elfici, l’isola degli uomini Númenor e assistiamo al mettersi in moto di tutta una serie di eventi che porterà al ritorno di Sauron e alla nascita, appunto, degli Anelli del Potere.

Si potrebbe dedicare un volume intero all’analisi di ogni differenza tra la narrazione tolkieniana e le scelte fatte dagli sceneggiatori, non solo in termini di eventi (dove alcune vicende sono inoltre oggetto di più riscritture dello stesso Professore) ma anche di caratterizzazione dei personaggi e delle diverse culture presenti, ma questo aspetto non solo è già stato più e più volte rimarcato da tante voci fin dall’apparizione delle prime immagini ufficiali, ma risulta anche in parte inevitabile, data la ristrettezza e la parzialità del materiale utilizzabile. La serie infatti, nonostante l’arco temporale che sceglie di rappresentare, è stata realizzata avendo i diritti cinematografici solo per Il Signore degli Anelli e le Appendici che lo accompagnano, dalla A alla F. Si tratta quindi di una fetta piccolissima del materiale che Tolkien scrisse, mentre fonti fondamentali come il Silmarillion e la History of Middle-earth restano intoccabili.

Il compito che così si delinea per gli sceneggiatori J. D. Payne e Patrick McKay è senza dubbio molto arduo, che si ritrovano a misurarsi con un gigante della letteratura, e sebbene credo che nessuno si aspettasse lo stesso livello di abilità nell’intessere trame, purtroppo il risultato finale è deludente.

Il desiderio di prendere parte alla sub-creazione tolkieniana non è certo una novità, il fandom legato alla Terra di Mezzo produce fanfiction, fanart e fanfilm in grande quantità da decenni, più o meno aderenti al canone, più o meno riusciti in generale. Uno spiraglio, una porta socchiusa per entrare a fare parte attivamente di questo mondo medievaleggiante, ci è stato lasciato da Tolkien stesso nella lettera 131 del suo epistolario, indirizzata a Milton Waldman, dove parlando del proprio corpus di leggende affermava:

Avrei stilato completamente alcune delle storie maggiori, e molte altre le avrei messe da parte, posizionandole nello schema e abbozzandole. I cicli sarebbero stati legati a un tutto maestoso, eppure avrebbero lasciato libertà di azione ad altre menti e mani, che praticassero il disegno, la musica e il teatro.

Nel caso specifico di questa serie certi cambiamenti possono lasciare molto perplessi, dato il coinvolgimento della Tolkien Estate e di uno degli eredi, Simon Tolkien, mentre in passato Christopher Tolkien, il figlio dell’autore che aveva dedicato gran parte della sua vita alla cura delle opere inedite del padre, già aveva disprezzato pubblicamente la versione cinematografica di Peter Jackson.

Date queste premesse, guardiamo ora alla serie con un occhio medievalista, e non semplicemente tolkieniano: The Rings of Power, secondo la mia opinione, incarna la definizione di simulacro, inteso come simulacro del Medioevo, di Jane Toswell, nel suo saggio The Simulacrum of Neomedievalism:a copy of a copy of a nonexistent original, an original thet never had tangible existence” (una copia di una copia di un originale che non esiste, un originale che non ha mai avuto esistenza tangibile).

C’è una base di medievalismo creato dallo scrittore, a cui si aggiungono vari rimandi alle trilogie che partendo da esso Peter Jackson ha realizzato, ad esempio: il discorso di Sadoc Burrows (Lenny Henry) agli Harfoot prima della migrazione, che ricorda molto quello di Bilbo alla festa del suo centoundicesimo compleanno; la scena in cui Galadriel e Theo sono nascosti sotto un albero caduto e gli orchi passano e si avvicinano fino a essere proprio sopra di loro, come accade agli Hobbit coi Nazgul nella Compagnia dell’Anello; la battuta finale dello Straniero, “Nel dubbio segui sempre il tuo naso”, che conferma la sua identità (Gandalf, interpretato da Daniel Wayman).

C’è poi un medievalismo visivo su cui soffermarsi.

I fondali e gli ambienti sono di grande impatto visivo ad un primo sguardo, i paesaggi sono meravigliosi, spesso dai colori vividi e che creano forti contrasti. Le città, sebbene nei primi episodi si vedano principalmente da lontano o solo in interni ristretti che mancano di respiro e smorzano il senso di grandiosità delle vedute generali, pian piano vengono mostrate abbastanza da notare la coerenza stilistica tra i reami elfici che vediamo per la prima volta, Eregion e Lindon, e quelli già apparsi sul grande schermo, e così come per Khazad-dûm, il regno dei Nani.

I muri candidi e le cupole dorate e blu che vediamo a Númenor mi hanno riportato alla mente immagini di Santorini, caratterizzazione orientaleggiante coerente anche con altri particolari a cui accennerò a breve.

I costumi e le armature purtroppo non reggono il confronto con la costumistica a cui gli spettatori del genere si sono abituati sia con le trilogie di Peter Jackson che con la serie di Game of Thrones (serie di cui è uscito il prequel, House of the Dragon, praticamente in contemporanea con The Rings of Power), nonostante il budget stellare a disposizione.

Se gli abiti degli Harfoot sono comprensibilmente poco più che stracci, considerando la loro vita semplice e le condizioni rurali, le vesti degli Elfi invece sono spesso povere di dettagli, e anche personaggi di grande rilievo come Elrond (Robert Aramayo) le cambiano poco spesso, come se fossero un elemento di riconoscimento del personaggio strettamente necessario. Le armature della cerimonia elfica che vediamo nel primo episodio colpiscono a un primo colpo d’occhio (sebbene, personalmente, mi abbiano ricordato il genere di armatura che potremmo trovare in videogiochi stile World of Warcraft), ma quando le inquadrano da vicino mancano di dettagli.

Le armature sono più un punto di debole che di forza: sempre nel primo episodio, restando in tema di armature, vediamo Galadriel (Morfydd Clark) scalare il fianco di un monte ghiacciato utilizzando un pugnale e piantando nel ghiaccio le punte dei sabaton, le scarpe d’arme in uso dal Basso Medioevo al Rinascimento; in vari episodi vediamo personaggi indossare armature a bordo delle navi, anche quando chiaramente non è necessario e pertanto rappresentano solo un pericolo in caso si cadesse in mare.

Gli uomini della Terra di Mezzo, delle Southlands, subiscono l’effetto di quello che ormai nel web viene chiamato “filtro medievale” per cui i colori degli abiti spariscono, rimpiazzati da sporco e usura per un’evidente miseria, la quale però risparmia la coraggiosa Bronwyn (Nazanin Boniadi), uno dei personaggi principali, unica punta di colore con la sua tunica blu.

Númenor ha miglior fortuna, data anche la sua posizione di privilegio, e troviamo molti tocchi di orientalismo, una profusione d’oro, con i gioielli delle nobili che ricordano il fasto bizantino o gli elmi che richiamano forme ottomane.

I Nani restano fermamente nella tradizione di forme stabilita dai film di Jackson, sebbene gli ambienti che vediamo di Khazad-dûm siano nuovi, il regno è ancora vivo e fiorente.

Infine, c’è un problema, la questione che non si riesce ad eludere, sono le contraddizioni interne che la serie presenta, e che ostacolano non poco la sospensione dell’incredulità. Solo per accennarne alcune: Elrond sente chiaramente Durin (Owain Arthur) e sua moglie Disa (Sophia Nomvete) parlare a centinaia di metri, ma l’udito elfico sembra valere solo in quella occasione, dato che Arondir (Ismael Cruz Córdova) viene colto alle spalle (in una situazione di pericolo, in cui i sensi dovrebbero essere al massimo dell’allerta) ben tre volte.

Elrond, Durin, Celebrimbor (Charles Edwards) e Gil Galad (Benjamin Walker) si mentono a vicenda numerose volte, rompendo giuramenti, in particolare il primo Elfo, per poi dichiarare nell’episodio 7 di non aver mai fatto una promessa che non abbia mantenuto, contraddicendo quello che si è chiaramente visto (Durin arriva a mentire all’Alto Re degli Elfi, accusandolo di mancare di rispetto alle tradizioni sacre del suo popolo, per ottenere un tavolo nuovo da regalare alla moglie…).

Da Númenor partono tre navi, navi che hanno chiaramente poco pescaggio e quindi poca possibilità di trasporto, ma quando vediamo gli Uomini dell’Ovest cavalcare verso le Southlands sono in gran numero e tutti a cavallo.

Galadriel riceve in pieno petto una nube piroclastica uscendone con danni minimi mentre intorno a lei i feriti sono moltissimi, e come per lei sono evidenti numerose situazioni in cui i protagonisti si salvano solo in quanto tali (può essere comprensibile che accada, ma non dovrebbe essere così lampante e frequente).

Elendil (Lloyd Owen) non vedendo tornare il figlio Isildur (Maxim Baldry) nemmeno prova ad andare a cercarlo, nonostante negli episodi precedenti non sia stato caratterizzato come un padre particolarmente crudele o disinteressato; lo spettatore quasi certamente sa che è vivo, anche con una conoscenza della materia tolkieniana più che superficiale, ma questo porta a un altro aspetto potenzialmente problematico della serie. A volte ci si deve affidare alle conoscenze sulla Terra di Mezzo esterne alla serie, a volte queste rendono vani tentativi di suspance anche solo avendo visto i film di Jackson e senza essersi avventurati nella lettura di migliaia di pagine, altre volte è necessario dimenticarle perché ci troviamo di fronte a scelte opposte. Si figura un rapporto molto instabile tra le opere di questa costellazione narrativa, un andamento ondivago che a volte si sarebbe potuto facilmente evitare.

Ho detto tutto quello che potevo su The Rings of Power? Assolutamente no.

Tutto quello che penso? Nemmeno.

Ma credo di essermi dilungata a sufficienza. La serie è indubbiamente un fenomeno mediatico enorme, una delle serie più viste su Amazon Prime Video, con un pubblico di milioni di persone.

A voi la scelta se unirvi.

Valérie Morisi

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Written by : Redazione

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