Nell’ambito della storia delle relazioni tra la Scandinavia e l’Europa è opinione molto diffusa che gli scandinavi, a causa della loro posizione geografica, abbiano vissuto in una condizione di isolamento, una sorta di “lungo inverno”, fino ai primi secoli del Medioevo. Come un fulmine a ciel sereno, a rompere improvvisamente e inaspettatamente questo confinamento sarebbe stato, l’8 giugno del 793, il saccheggio del monastero inglese di Lindisfarne da parte di una banda di predoni nordici, evento che segna convenzionalmente l’inizio dell’epoca vichinga e indirettamente, secondo la suddetta visione della storia, l’inizio anche dei rapporti tra la Scandinavia – qui intesa non soltanto nella sua accezione geografica, circoscritta cioè a Svezia e Norvegia, ma altresì in quella culturale, più ampia, che include le tre monarchie nordiche (Danimarca, Svezia, Norvegia) insieme all’Islanda, alla Groenlandia e alle isole Fær Øer – e il resto d’Europa. Da quel momento e per circa trecento anni, infatti, i vichinghi avrebbero imperversato in tutto il continente, lasciando dietro di sé una scia di morte, terrore e distruzione.
Pur riconoscendo l’indubbio carattere espansivo del movimento vichingo, contraddistinto effettivamente da una estrema mobilità degli uomini, questa lettura “isolazionistica”, figlia della storiografia ottocentesca, è però ormai desueta e non più sostenibile scientificamente, perché smentita da fonti letterarie, prove archeologiche e, più recentemente, anche da studi genetici. Le prime, in particolare, sono espressione di una tradizione geo-etnografica che, da Pitea di Marsiglia a Erodoto, da Pomponio Mela a Tacito, attraversa tutta l’antichità, dimostrando come nel mondo greco-romano circolassero notizie e informazioni, per quanto confuse e lacunose, sul Settentrione d’Europa. Sul piano delle conoscenze geografiche, tale tradizione, fondata su fonti erudite ma per lo più indirette, mostra nel tempo una graduale evoluzione, conseguenza soprattutto dell’esplorazione e dell’espansione romana nel nord Europa (Gallia, Britannia e Germania) e testimoniata a partire dal I secolo d.C. dalla menzione di nuove terre, come il golfo definito Codanus (probabilmente il Baltico meridionale) e una grande isola, la Scadinavia o Scatinavia, cioè la Scandinavia, la cui insularità sarà a lungo sostenuta anche nel Medioevo. Proprio al I secolo d.C., peraltro, sembra risalire il primo, vero contatto diretto tra i Romani e gli scandinavi, e più precisamente al 5 d.C., sotto l’impero di Augusto, quando una spedizione navale esplorativa inviata da Tiberio (in quel momento impegnato in una campagna militare in Germania) raggiunse lo Jutland. Sul fronte etnografico, la suddetta tradizione si basa su una contrapposizione ideologica tra la civiltà mediterranea greco-romana e la barbarie nordica, quest’ultima incarnata da popoli reputati primitivi, feroci, incivili e selvaggi. Anche in questo ambito, comunque, l’espansione a nord del limes romano fa registrare un avanzamento delle conoscenze, come si può vedere nella Germania, o De origine et situ Germanorum, di Tacito (98 d.C.), che introduce e descrive popoli rimasti fino allora sconosciuti (tra i quali, per esempio, i Suiones o Sueoni, antenati degli svedesi). Nella tradizione classica, infine, non mancano miti e leggende relative agli Iperborei e alla loro terra, Iperborea appunto: come indica il nome, questo paese mitico era situato “oltre il vento del Nord” (chiamato Boréas in greco, Aquilo in latino), il che dal punto di vista meridionale significava, per i suoi abitanti, vivere “più a nord del Settentrione”, in un vero e proprio alter orbis, quasi un altro mondo.
Laddove le fonti classiche e tardoantiche lasciano supporre l’esistenza di contatti (perlomeno indiretti) tra il mondo nordico e quello greco-romano, dando altresì notizia dei movimenti migratori, l’archeologia fornisce evidenze del fatto che, ben prima dell’epoca vichinga, anche i beni e le merci si muovevano frequentemente sull’asse nord-sud, coprendo talvolta distanze considerevoli. Tra i prodotti esportati dal Settentrione, un posto di rilievo è occupato dall’ambra, particolarmente apprezzata e richiesta dai romani, che dal Baltico e dallo Jutland raggiungeva il Mediterraneo attraverso una rete di sentieri e vie commerciali comunemente nota come “via dell’ambra”. Sono poi numerosi gli oggetti di fattura o provenienza romana ritrovati in Scandinavia, specialmente nella Danimarca meridionale e nella Svezia sud-orientale, e datati tra il II e il IV secolo d.C. Si tratta in massima parte di monete, coppe e vasellame in argento, corni potori in vetro e altri manufatti facenti parte di lussuosi corredi funebri, evidentemente riservati a personalità di alto rango, che in alcuni casi raggiunsero la Scandinavia attraverso scambi o traffici, in altri come doni diplomatici da parte di importanti dignitari romani. Fra i reperti più celebri dobbiamo sicuramente ricordare il cosiddetto “tesoro di Hoby”, scoperto nel 1920 sull’isola danese di Lolland: rinvenuto all’interno di una sepoltura del I secolo d.C., il tesoro è costituito da diversi oggetti tra cui spiccano due coppe d’argento, decorate con scene dell’Iliade omerica e recanti inciso il nome “Silius”. Sulla base di questo indizio, è stata ipotizzata la loro originaria appartenenza al console romano Gaio Silio, che dal 14 al 21 d.C., sotto l’imperatore Tiberio, fu inviato in Germania come comandante militare (legatus): dalla Germania, le coppe potrebbero aver quindi raggiunto la Danimarca come dono diplomatico per un capo barbaro, oppure per un barbaro che al tempo ricopriva un ruolo di comando nell’esercito romano, e che le avrebbe poi riportate a casa dopo il suo congedo.
Se le coppe di Hoby dimostrano l’esistenza di contatti tra Roma e la Scandinavia già nel I secolo d.C., le scoperte fatte sull’isola svedese di Helgö, nel lago Mälaren, danno un’idea della varietà e dell’estensione dei traffici che, ben prima dell’età vichinga, collegavano la Scandinavia al resto d’Europa (e non solo). A partire dal III secolo d.C., infatti, Helgö ermerse come uno dei maggiori centri produttivi e commerciali del nord Europa, vivendo il suo periodo di massimo splendore tra VI e VIII secolo prima di entrare in crisi a causa della concorrenza del vicino insediamento di Birka, situato sull’isola di Björkö, che si trova nello stesso lago. Oltre ad abitazioni, officine metallurgiche, cimiteri e strutture difensive, le campagne di scavi avviate sull’isola nel 1954 hanno portato alla luce una serie di oggetti decisamente esotici, tra cui un ramaiolo in bronzo di fattura mediorientale (probabilmente egiziano) datato al VI secolo, una statuetta bronzea di Buddha, realizzata in India anch’essa nel VI secolo, e un pastorale irlandese del VII secolo: i primi due arrivarono a Helgö probabilmente tramite i mercanti svedesi, molto attivi sulle rotte commerciali che attraverso i grandi fiumi russi conducevano fino ai mercati orientali nella regione del Mar Caspio, mentre il pastorale fu verosimilmente riportato indietro come bottino da una razzia vichinga in Irlanda.
In conclusione, dalle testimonianze scritte e dai reperti archeologici emerge dunque quadro fatto di reti, relazioni, comunicazioni e reciproche influenze che, sin dall’antichità, unirono i paesi nordici e il mondo mediterraneo, un quadro che smentisce una volta per tutte l’idea di un presunto isolamento degli scandinavi prima dell’avvento dei vichinghi.
Francesco D’Angelo
Per approfondire:
D’Angelo Francesco, La fonte di Urðr. La Scandinavia, l’Europa, il Mediterraneo (secoli VIII-XIII), Vocifuoriscena, Viterbo 2021.
De Anna Luigi, Il mito del Nord. Tradizioni classiche e medievali, Liguori, Napoli 1994.
Grane Thomas (ed.), Beyond the Roman frontier. Roman influences on the northern barbaricum, Edizioni Quasar, Roma (Analecta Romana Instituti Danici. Supplementum, 39).
Maiuri Arduino, Il Nord nel mondo greco-romano, in «Rivista di cultura classica e medioevale», 55.2, 2013, pp. 567-585.
Randsborg Klavs, Roman reflections. Iron Age to Viking Age in Northern Europe, Bloomsbury, London – New York 2015.