Tutti conoscono la Commedia, opera magistrale del padre della letteratura italiana Dante Alighieri, ma pochi conoscono le dinamiche che hanno portato alla versione che tutti noi leggiamo oggi. Nel mondo della letteratura esiste la figura del filologo, ovvero colui che si occupa di filologia.  

Con il termine filologia ci riferiamo oggi a due pratiche: la filologia testuale, che si occupa di reperire/ricostruire i testi e interpretarli; e la filologia genetica che studia il processo creativo che ha condotto un autore alla creazione del testo. In particolare la filologia testuale è lo strumento di cui ci si serve quando gli studiosi non sono in possesso del testo originale. 

Prima dell’esistenza della stampa, è noto, i testi venivano diffusi grazie al lavoro di copisti. Queste figure, di importanza inestimabile, non sono purtroppo esenti dal commettere degli sbagli: qualche svista, qualche rigo saltato per errore, qualche parola scritta male, ma non solo.

All’epoca, in Italia, non esisteva una lingua uguale per tutti ma c’erano numerosissimi dialetti. Questo comportava che un copista poteva venire in contatto con un testo in una lingua abbastanza diversa dalla propria, e sceglieva magari di tradurlo. Oppure, ancora, all’epoca, non esistendo l’idea di autorialità i copisti avevano la possibilità di cambiare il testo, senza stravolgerlo, in base alle proprie preferenze. 

Il lavoro del filologo è dunque quello di raccogliere tutte le varie copie di un testo, risalire alle più antiche, e confrontarle, per creare un’edizione critica, ovvero una versione quanto il più simile a ciò che lo studioso ritiene essere l’originale. 

Quando invece il manoscritto che si possiede è quello autografo, l’originale, non c’è bisogno di ricostruire tutto.

Ebbene della Commedia, il testo divino, quello su cui poggia tutta la tradizione linguistica e letteraria italiana, non è stato ancora trovato il testo autografo

Codice Landiano 190 La Commedia ebbe da subito un successo clamoroso: basti pensare che dagli ultimi censimenti sono circa 800 i testimoni (i manoscritti) che contengono almeno una cantica. Ma a complicare ancora di più le cose c’è il fatto che esiste una tradizione “in vita” ovvero il testo era diffuso inizialmente per canti o gruppi di canti e in cantiche solo dopo il 1321 (anno della morte di Dante). Ci sono Commedie in pergamena di ottima qualità ed altre in carta, alcune miniate sontuosamente, altre semplicemente decorate a penna; talune sono prodotte da professionisti, altre vergate da scribi occasionali, di scarsa perizia grafica, per uso proprio o dei loro familiari. 

Tutta la prima generazione di manoscritti, che va dalla morte di Dante nel 1321 al 1336, è andata completamente perduta. Si ritiene che del 1336 sia il Manoscritto Landiano, conservato presso la Biblioteca Passerini-Landi di Piacenza, considerato, ad oggi, il più antico testimone della tradizione della Commedia.

La prima edizione critica, ovvero per farla breve il testo ricostruito, risale al 1862 ed è di  Karl Witte  giurista, filologo, filosofo e traduttore tedesco. Karl Witte in particolare si serve delle vulgate: una particolarità delle innumerevoli copie della Commedia è che si è diffusa a blocchi di copie più o meno omogenee, che appunto si chiamano vulgate.

Giorgio Petrocchi considerato uno dei maggiori critici letterari italiani, tra il 1966 e il 1967 ha fornito l’edizione critica di riferimento oggi. Ha limitato la collazione, un confronto tra le varie lezioni, ai soli manoscritti precedenti al 1355, data in cui Boccaccio realizza il suo manoscritto che diede vita a una vulgata derivata dal suo lavoro, in quanto dato il suo prestigio di scrittore, alcuni ritenevano potesse essere una versione migliore delle altre. Petrocchi seleziona 27 testimoni tramite i quali gli è stato possibile la ricostruzione del testo più antico tramandato. Non è l’originale, ma è la forma del testo diffuso subito dopo la morte di Dante. Il titolo dell’opera di Petrocchi infatti è La Commedia secondo l’antica vulgata.

Edoardo Sanguineti, scrittore, critico e politico italiano, nel 2001 prende in considerazione tutti i manoscritti che contengono una cantica intera, dunque circa 600. Tra questi seleziona 7 manoscritti. Tramite uno studio degli errori seleziona un testo, il manoscritto Urbinate latino 366 Urbinate latino 366conservato oggi presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, che pare essere quello più direttamente derivante da un archetipo, ovvero il più antico testo, distinto dall’originale da cui discendono tutti i testimoni successivi. Sanguineti sceglie, dunque, di seguire la lezione tramandata da quest’ultimo, a meno che non ci siano passi evidentemente erronei. Inoltre il manoscritto Urbinate Latino mantiene alcune forme linguistiche toscane che non si riscontrano negli stessi manoscritti toscani, dunque potrebbe essere vicinissimo all’archetipo e fedele ad esso.

Le prospettive di ricostruzione sono molte e varie e tutto potrebbe cambiare se all’improvviso venisse trovato un nuovo testimone. Per quanto riguarda l’originale, c’è chi sostiene che esista per vari motivi: il primo è che di Dante di autografo non ci è giunto nulla, ed è difficile credere che tutte le migliaia di pagine da lui composte siano andate perdute; inoltre Dante ogni volta che finiva una cantica ne realizzava una copia, quindi esisterebbero potenzialmente due manoscritti autografi. I luoghi di conservazione sono svariati, a Roma nelle biblioteche vaticane, nella casa del figlio Pietro, ma anche ad Avignone, sede papale nel Trecento. Dunque la caccia al manoscritto è aperta. 

 

Roberta Borzillo

 

 

Per approfondire:

BELLOMO SAVERIO, Filologia e critica Dantesca, Editrice La Scuola, Brescia 2012.

VARVARO ALBERTO, Prima lezione di filologia, Editori Laterza, Bari/Roma 2012. 

 

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Written by : Redazione

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