In tutta la mia opera io prendo le parti degli alberi contro i loro nemici. Lothlórien è splendida perché lì gli alberi sono amati; da altre parti le foreste sono rappresentate mentre si risvegliano alla propria consapevolezza. La Vecchia Foresta era ostile alle creature bipedi a causa della memoria di molte offese subite. La foresta di Fangorn era antica e bella, ma all’epoca della storia piena di ostilità perché era minacciata da un nemico amante delle macchine. Bosco Atro era caduto sotto il dominio di un Potere che odiava tutti gli esseri viventi, ma fu restituito alla sua bellezza e prima della fine della storia divenne Boscoverde il Grande.”

J.R.R. Tolkien, lettera n. 339, Al direttore del Daily Telegraph, 30 giugno 1972

I nostri lettori più affezionati probabilmente già sanno, come pure gli appassionati tolkieniani di lunga data, che parlare di Terra di Mezzo è parlare della nostra terra in un passato mitico dalle chiare influenze medievali, dove i temi centrali delle storie che vi svolgono sono eterni e quindi spesso molto attuali. Altrettanto vicini a noi sono molti dei paesaggi che Tolkien ci presenta, eco rintracciabili dei suoi viaggi, riflessi del mondo che ci circonda. Uno degli aspetti dell’opera tolkieniana che colpisce e cattura i lettori da sempre è infatti la centralità della natura, il suo non essere meramente uno sfondo. I luoghi non sono solo dettagliatamente descritti, dove nulla è lasciato al caso e tanta cura viene prestata, ad esempio, alla flora di Lothlórien quanta alla genealogia dei signori di quel reame elfico: hanno una storia, un’identità e un’importanza. La minaccia di Sauron, e prima ancora del grande corruttore Morgoth, non è “solo” sociale e culturale, ma anche ambientale.

Nel Signore degli Anelli, il comportamento dello stregone Saruman, asservitosi a Sauron, ne è un chiaro esempio: disboscamenti, incendi, fiumi deviati per le sue fucine di guerra.

Credo di capire adesso che cosa stia combinando. Sta progettando di diventare una Potenza. Ha un cervello fatto di metallo e d’ingranaggi: nulla gl’importa di ciò che cresce, se non gli serve in un’occasione immediata. Ed ora vedo chiaramente ch’egli è un traditore nero. Complotta con gente immonda, con gli Orchi.

(Le due torri, capitolo IV Barbalbero)

Non sorprende quindi come questa prospettiva rese le opere del professore d’Oxford cara alla controcultura degli anni ‘60, in grembo alla quale nacque il movimento ecologista.

Parlare di Tolkien e del suo legame con la natura, sia che si intenda a livello personale che letterario, significa quindi approcciarsi un argomento molto vasto, un albero dalle innumerevoli ramificazioni.

L’importanza degli alberi per Tolkien è palese in ogni suo scritto (perfino la saggistica non è priva di riferimenti significativi): partendo dagli antichi racconti, dal corpus di storie che forma il legendarium, nella Prima Era vediamo torreggiare i Due Alberi di Valinor (la terra dove camminano le potenze angeliche incarnate che sono i Valar – ricordiamo che nel mondo di Tolkien vi è un solo dio, Eru – e dove gli Elfi giungono dopo il loro risveglio). Da Telperion e Laurelin, questi i loro nomi, proviene la luce che illumina quella terra; dalla rugiada argentea del primo vengono create nuove stelle e dalla luce stessa di questi alberi il più grande dei fabbri Elfi crea tre gemme di indicibile valore, i Silmaril, attorno ai quali ruotano numerosissimi episodi delle leggende tolkieniane.

Quando questi due alberi vengono distrutti dal Valar ribelle Melkor e dal ragno gigante Ungoliant in quello che viene chiamato l’ottenebramento di Valinor, dall’ultimo fiore del primo e dall’ultimo frutto del secondo vengono creati la luna (Isil) e il sole (Anar). Da Telperion discende inoltre l’Albero Bianco di Númenor, simbolo dei grandi re degli uomini, la cui discendenza prosegue oltre l’inabissamento dell’isola, fino all’albero bianco di Minas Tirith, simbolo di Gondor:

Alte navi ed alti re

Tre volte tre,

Che portaron da terre sommerse

Oltre il mare in tempesta?

Sette stelle e sette pietre

E un albero bianco.

(J.R.R. Tolkien, Le due torri, capitolo XI Il Palantír)

Dopo gli alberi, non si può che parlare dei Pastori di Alberi, gli Ent. Detti anche Onodrim in Sindarin, sono il popolo più antico della Terza Era. Nel Silmarillion troviamo raccontata la loro nascita nel capitolo Aulë e Yavanna, dove la seconda, Dispensatrice di frutti che ama tutte le cose che crescono sulla terra, esprime grande preoccupazione per il futuro degli alberi, inermi rispetto ad altri esseri viventi, prima ancora che gli uomini siano comparsi.

Possiamo inoltre ben comprendere la genesi letteraria di queste creature grazie alle lettere di Tolkien stesso:

Consideri gli Ent, per esempio. Non li ho inventati consapevolmente. Il capitolo intitolato Barbalbero”, a partire dalla prima frase di Barbalbero a p. 66, è stato scritto più o meno così com’è, e l’effetto su di me (tranne per il dolore del travaglio) è stato quasi come se stessi leggendo l’opera di qualcun altro. E ora gli Ent mi piacciono perché sembrano non avere nulla a che fare con me. Potrei dire che da un po’ di tempo nel mio “inconscio” stava succedendo qualcosa, e questo spiega la mia sensazione, specialmente quando ero bloccato, che io non stessi inventando ma riportando (imperfettamente) e che a volte dovevo aspettare per scoprire “cosa è successo davvero”. Guardandomi indietro analiticamente, dovrei dire che gli Ent sono composti da filologia, letteratura e vita. Devono il loro nome alle eald enta geweorc 379 dell’anglosassone, e alle loro connessioni con la pietra. La loro parte nella storia si deve, penso, al mio amaro disappunto e disgusto dai tempi della scuola per l’ignobile uso fatto da Shakespeare dell’arrivo della “Grande foresta di Birnam verso l’alto colle di Dunsinane”: desideravo ardentemente inventare uno scenario in cui gli alberi potessero davvero marciare in guerra. E in questo si è insinuata un po’ di esperienza personale, la differenza fra gli atteggiamenti “maschile” e “femminile” nei confronti della natura, la differenza fra l’amore disinteressato e il giardinaggio.

(Lettera n. 163, a W.H. Auden, 7 giugno 1955)

Un precedente eco letterario degli Ent si può trovare anche nel poema medievale gallese Cad Goddeu, la battaglia degli alberi, presente nel Libro di Taliesin.

Infine, molto significativo e degno di nota è il fatto che il Professore immagini anche per gli Ent un luogo di beatitudine e ipotizzi addirittura un aldilà:

credo che nel Vol. II […] sia palese che per gli Ent non ci sarà alcuna riunione nella “storia”, tuttavia gli Ent e le loro mogli, essendo esseri razionali, troveranno un qualche “paradiso terrestre” fino alla fine di questo mondo: oltre la quale, neppure la saggezza degli Elfi o quella degli Ent riescono a vedere. Anche se forse condividevano la speranza di Aragorn di non essere “vincolati per sempre a ciò che si trova entro i confini del mondo, e al di là di essi vi è più dei ricordi.”

(Lettera n. 338, a padre Douglas Carter, giugno 1972)

Parlando di natura e di alberi il filo conduttore ci porterebbe con un breve passo ad un altro, vastissimo, elemento degli scritti del Professore, ad essi profondamente legato: gli Elfi. Fiumi di inchiostro si sono versati in merito e anche solo una brevissima sintesi dell’origine medievale di questo popolo tolkieniano dovrà attendere un articolo ad essi interamente dedicato (nel mentre, potete leggere sul nostro sito uno spaccato sul loro approccio all’amore tratto dal saggio Gli Elfi e l’Amore Stilnovistico. Tolkien e Dante).

Valérie Morisi

Per approfondire:

DROUT MICHAEL D.C. (edited by), J.R.R. Tolkien Encyclopedia: Scholar and Critical Assessment, Routledge, London 2006.

CURRY PATRICK, Tolkien. Mito e modernità, Bompiani, Milano 2018.

GARTH JOHN, I mondi di J.R.R. Tolkien, Mondadori, Milano 2021.

SHIPPEY TOM, J.R.R. Tolkien: Author of the Century, Houghton Mifflin Company, Bonston 2002.

TOLKIEN J.R.R., Lettere 1914/1973, Bompiani, Milano 2018.

TOLKIEN J.R.R., Il medioevo e il fantastico, Bompiani, Milano 2003.

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Written by : Redazione

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