Qualche settimana fa abbiamo cominciato a ripercorrere la straordinaria carriera musicale del moderno trovatore Angelo Branduardi, fiore all’occhiello della musica italiana, carriera costellata di riferimenti al Medioevo e rivisitazioni medievalistiche che sono per l’ascoltatore (e per i nostri lettori) un vero e proprio scrigno di tesori. Avevamo parlato degli esordi e di uno dei suoi progetti più storici, Futuro antico, ma, come era stato anticipato, c’è ancora molto da dire. E come riprendere il discorso se non con uno dei suoi maggiori successi, il Ballo in fa diesis minore?

Prima traccia dell’album La pulce d’acqua del 1977, la melodia del brano, Schiarazula Marazula (che Branduardi propone con questo stesso titolo e differente testo nell’album Futuro antico II Sulle orme dei patriarchi del 1998), proviene dall’opera di Giorgio Mainerio Il primo libro de balli a quatro voci, accommodati per cantar et sonar d’ogni sorte de istromenti del 1578, sebbene probabilmente sia antecedente questa attestazione e pertanto risalente proprio all’epoca medievale. Il testo descrive un ballo con niente meno che la nera Signora, la Morte che porta corona, una vera e propria danza macabra in un’atmosfera che ricorda Il settimo sigillo (1957) di Ignmar Bergman (altra perla medievalista che non mancherà alla nostra collana). Perfino le parole di questa canzone ha origini storiche, anche se del primo Rinascimento: si può infatti trovare dipinto sulla facciata Sud della chiesa di San Vigilio a Pinzolo (in provincia di Trento), dove a una sfilata di scheletri danzanti assieme ad una serie di personaggi storici si accompagna un testo molto simile a quello che sentiamo recitare dal nostro menestrello:

Io sont la morte che porto corona
Sonte signora de ognia persona
Et cossi son fiera forte et dura
Che trapaso le porte et ultra le mura

L’affresco, terminato nel 1539, è opera di Simone Baschenis de Averara.

A chiudere il disco, dopo la madre del dolore, attende l’ascoltatore La bella Dama senza pietà, figura che ricorre nei quadri dei pittori preraffaelliti (John William Waterhouse, Arthur Hughes, Frank Dicksee solo per citarne alcuni), sempre accompagnata da un cavaliere senza macchia e senza paura, scintillante nella sua splendida armatura, irrimediabilmente irretito da una bella fanciulla. Di questo fascino irresistibile parla anche il poeta romantico John Keats (1795-1821) nella sua ballata La Belle Dame sans Merci (1819), ma non è il primo: già nella metà del XV secolo troviamo un poema in medio inglese con lo stesso titolo, firmato da Richard Roos (1410-1482). Si tratta della traduzione dell’opera del poeta francese Alain Chartier (1385 ca.-1429 ca.), scritta nel 1424, la cui trama differisce dalla poesia di Keats presentandoci invece una dama fredda che respinge l’amore del suo corteggiatore.

Il testo di Roos venne fino al tardo 1700 attribuito erroneamente a Chaucer (1342/43 ca.-1400), considerato da molti il padre della letteratura inglese, la cui opera più conosciuta sono I racconti di Canterbury (fine XIV secolo). Il viaggio nel mondo musicale di Branduardi è ben lontano dalla sua conclusione, ma per oggi ci fermiamo qui, affascinati da queste figure femminili tratteggiate con tinte inconfondibili e che resistono al passare dei secoli, immortalate ancora una volta dal talento del trovatore.

Valérie Morisi

Per approfondire:

COLUSSI FRANCO, Mainerio, Giorgio in Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 67 (2006), ad vocem (http://www.treccani.it/enciclopedia/giorgio-mainerio_(Dizionario-Biografico)/).

SYMONS DANA M, La Belle Dame sans Mercy: Introduction in Chaucerian Dream Visions and Complaints edited by Dana M. Symons, Medieval Institute Publications, Kalamazoo 2004. Versione digitale: https://d.lib.rochester.edu/teams/text/symons-chaucerian-dream-visions-and-complaints-la-belle-dame-sans-mercy-introduction

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Written by : Redazione

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