L’amor cortese, o fin’amor, è una forma di amore perfetto, assoluto, capace di nobilitare lo spirito e di innalzare l’anima degli amanti. Come un vero e proprio vassallo, il cavaliere innamorato si pone in una condizione di totale sottomissione nei confronti della propria dama. Egli è pronto a fare qualsiasi cosa per la donna amata, disposto a ricevere in cambio soltanto uno sguardo o un saluto, visti come un’opportunità di nobilitazione personale. È a partire da questo modello culturale che inizia lentamente ad affermarsi il mito della donna angelo.  Tra il cavaliere e la propria amante si instaura un rapporto di tipo platonico, basato sulla spiritualità e su di sistema di comportamento e di regole da seguire nel corteggiamento della dama.

Ma l’amore cortese è davvero un amore spirituale che esclude ogni forma di corporeità e di erotismo tra il fin amador e la sua amante?

Fino al secolo scorso l’idea della sostanza angelica della fin’amor è rimasta pressocché intatta. Gli studiosi René Nelli e Pierre Bec hanno il merito di aver sfatato questo mito e di aver dimostrato come la lirica provenzale sia in realtà una produzione poetica ricca di doppi sensi e di velate allusioni sessuali. Dietro la maschera delle pratiche cortesi e cavalleresche, si cela una continua richiesta di appagamento del desiderio erotico. La realizzazione totale dell’amore, il jazer, giacere, non è mai esclusa del tutto. Al contrario i trovatori mascherano, dietro il rispetto delle leggi morali, la richiesta di soddisfacimento del godimento fisico. In tal senso si rivela fondamentale il rapporto di complicità con il proprio pubblico. I poeti sfruttano al massimo le potenzialità delle parole e creano un’arte in cui registri diversi si mescolano e in cui si accorcia il divario tra letteratura alta e bassa.

 In questo gioco di doppi sensi e nella creazione di versi dal significato equivoco, Bernart Marti si dimostra un verseggiatore esperto. Il trovatore realizza delle composizioni dal carattere ironico e giocoso nelle quali uno spazio rilevante è occupato proprio dal comico della parola. Lo stesso pseudonimo del poeta, lo pintor, il pittore, nasconde dietro il significato letterale un significato allusivo. Lo studioso Saverio Guida ha dimostrato che in latino il verbo (de)pingere non aveva soltanto il significato letterale di “dipingere” ma veniva utilizzato in chiave erotico-metaforica per alludere all’atto del “pennellaggio” dell’organo genitale femminile con il membro maschile, con cui il pennello condivide la forma cilindrica. 

Non risulta quindi improbabile che, in un testo in cui si rivolge ai suoi compagni, dunque ad un’audience maschile e molto meno repressa di quanto si potesse pensare, Bernart Marti si presenti come un maestro del pennello, vantando così la propria supremazia sessuale. Esplicativa di questa componente erotica dell’arte trobadorica è la sua lirica Quant la plueja e·l vens e·l tempiers

qe d’als non es mos cors entiers

ni autre tresaur non amas

ni autre ricor non deman:

qu qi·s ha ni tor ni castel

eu·m al mon bel palais el forn.

ché d’altro il mio cuore non è appagato

né altro tesoro accumulo

né altra ricchezza domando:

ché se qualcuno ha torre o castello

io ho il mio bel palazzo nel forno

Il passo è stato tradizionalmente interpretato nell’ottica del poeta innamorato, sotto il cui sguardo l’amore ha il potere di trasformare in un palazzo anche la più modesta delle dimore. 

L’interpretazione di Guida si sofferma, invece, sui moduli del linguaggio allusivo e sulle capacità equivoche delle parole. Il critico fa notare come i termini torre e castello facciano parte di quei vocaboli che nel gergo erotico alludono agli organi riproduttivi maschili e femminili. La torre, con la sua “arrogante verticalità”, costituisce un simbolo di potenza e di dominio, e sta ad indicare il fallo. Al contrario, il castello viene deputato a luogo del piacere, oggetto di conquista nel quale penetrare con la forza, e rappresenta il sesso femminile, dimora di quello maschile. Allo stesso modo, anche le parole palazzo e forno si caricano di significati simbolici. Nei territori della Romània e soprattutto in Occitania, il termine palazzo veniva utilizzato con l’intento di far riferimento ad un luogo da ostentare, deputato all’ottenimento della soddisfazione personale, dunque per metonimia stava ad indicare il pene. Dall’altro lato, lo stesso uso traslato si riscontra per il termine forno che in quanto cavità utilizzata per la cottura del pane, equiparato al pene, assume il significato, pluriattestato nella poesia trobadorica, di “vagina”. Possiamo concludere affermando che i versi della canzone di Bernart Marti sono più intrisi di erotismo che di sentimentalismo, e che in essi si riesce ad intravedere il sorriso divertito del compositore. L’amore è presentato come una richiesta di godimento e di soddisfacimento del piacere fisico, è tutt’altro che spirituale, l’intera canzone si sviluppa all’insegna del fallicismo.

In una produzione poetica di questo tipo, che sviluppa i molteplici significati delle parole, risultano fondamentali la partecipazione e le capacità decrittatorie del pubblico. A ben vedere, una componente molto importante della poesia di corte si basa proprio sulla necessità di intrattenere e divertire gli ascoltatori. Per i trovatori l’elemento “giocoso” e allusivo è centrale. Soltanto se si tiene conto dei significati sottesi del testo, degli elementi allusivi magistralmente mascherati e dell’oscillazione continua tra il “dire” e il “far intendere” si riesce a comprendere a pieno il valore e l’originalità di un aspetto della lirica trobadorica a lungo sottovalutato.

Antonia Paudice

 

 Per approfondire:

FABRIZIO BEGGIATO,  Il trovatore Bernart Marti, Mucchi Editore, Modena 1984.

SAVERIO GUIDA,  Bernart Marti lo pintor, in Romance Philology, 2010.

RENÉ NELLI, Ecrivains anticonformistes du Moyen Age occitan, Editions Phébus, Parigi 1977.

PIERRE BEC, Burlesque et obscénité chez les trobadours. Pour une approche du contre-texte médiéval, Stock, Parigi 1984.

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Written by : Redazione

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