Quando si parla di poesia medievale siamo portati a pensare subito ai filoni letterari più iconici di questo periodo: la scuola siciliana di Federico II di Svevia, il filone dei poeti siculo toscani, la poesia cortese e lo stilnovismo. I grandi nomi che appartengono a questi generi li abbiamo sentiti numerose volte e come un movimento automatico siamo portati ad associarli alla poesia d’amore, ma se ci allontaniamo un po’ da queste convinzioni scopriamo che questi poeti erano tutt’altro che unicamente poeti d’amore. 

Tra il XII e il XIII secolo inizia a svilupparsi in Italia un nuovo tipo di poesia che gli studiosi hanno etichettato in diversi modi: poesia comica, poesia burlesca, comico-realistica, grottesca, giocosa e chi più ne ha più ne metta. Potrebbe sembrare istintivo contrapporre la poesia d’amore e quella comica, come se fossero su due piani contrastanti, ma questa comparazione non potrebbe essere più ingannevole. Molti poeti medievali, infatti, spesso si occupavano di entrambi questi generi di poesia e, contrariamente a quanto potremmo pensare al giorno d’oggi, loro non ci vedevano nulla di contrastante. 

Oltre che dall’esempio fornito dai poeti latini e dalle loro satire, i poeti italiani presero spunto da produzioni letterarie d’oltralpe. Dalla Germania infatti ci è pervenuto il Codex Buranus che ci offre una selezione di testi che hanno argomenti molto diversi tra loro, ma non per questo vanno in contrasto. In questo manoscritto, infatti, testi di argomento amoroso convivono perfettamente con satire e canti bacchici. Merito di questa scoperta va al linguista tedesco Johann Schmeller che nel 1847 pubblicò l’inedito manoscritto ed etichettò questo corpus letterario come Carmina Burana.

In Francia invece, in questo stesso periodo, trova grande fortuna la produzione di fabliaux: brevi racconti in versi dalla trama semplice e divertente. Lo scopo di questi testi era molto pratico, sembra infatti che il principale intento fosse quello di divertire i lettori. I temi trattati, d’altronde, erano: la sessualità in generale (con un occhio di riguardo per gli adulteri), inganni e disavventure. I protagonisti di questi racconti brevi sono in maggioranza borghesi o villani, ma non manca qualche eccezione aristocratica. 

In Italia, invece che con racconti brevi o canti, i poeti per trattare di questi temi giocosi si servirono del sonetto. Numerosi sono infatti i sonetti di natura comica che ci sono pervenuti dal Duecento e Trecento italiano, e della grande maggioranza di essi ci resta traccia in un unico manoscritto conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana: il Canzoniere Vaticano Latino 3793. I temi che i compositori nostrani scelsero di rappresentare nei loro componimenti non si allontanano molto da quelli dei cugini francesi o tedeschi: in questi sonetti si ritrova uno spiccato anticlericalismo, l’elogio di vizi come il gioco d’azzardo e il bere, e non manca l’aggressione personale, con destinatario messo in bella vista oppure solamente alluso, di tipo caricaturale e satirico che prende il nome di vituperium. Spesso a queste invettive l’offeso rispondeva a sua volta con un sonetto creando così delle tenzoni poetiche (sonetti di “botta e risposta” tra due autori) , oppure si potevano formare corone di più sonetti (sonetti indipendenti ma che insieme formano un corpus unitario) che parodizzano componimenti di altri autori. Ma il posto d’onore tra questi temi è riservato al ruolo che della donna nella poesia comico-realistica, sempre trattata male, sbeffeggiata e vista come causa di tutti i mali dell’uomo. 

Come accennavamo all’inizio di questo articolo, la maggior parte dei poeti che compongono poesie comiche sono autori anche di poesie cortesi. Sicuramente il più celebre è Dante Alighieri di cui ci è pervenuta una tenzone poetica con Forese Donati in cui i due autori si scambiano offese reciproche su loro stessi, sui propri genitori e le proprie usanze quotidiane. Nel terzo sonetto inviato a Forese, Dante addirittura arriva a mettere in discussione la fedeltà della madre di Forese, nei confronti del marito, con due versi che recitano «Bicci novel, figliuol di non so cui / (s’i’ non ne domandassi a monna Tessa)». 

E se la tenzone Dante-Forese non bastasse a chiarire il punto, molto si potrebbe dire di Guido Guinizzelli, considerato l’iniziatore del Dolce stil novo, di cui il codice Vaticano ci tramanda due sonetti (Chi vedesse a Lucia un var capuzzo e Volvol te levi, vecchia rabbiosa) in cui il poeta si prende gioco dell’aspetto fisico di una giovane donna e di una donna anziana. Ma oltre a questi poeti double face, che trattano indistintamente temi amorosi e temi comici, si ritrovano anche poeti che si occupano specificamente di poesia comica. Due nomi su tutti emergono dalla moltitudine di poeti medievali: Meo dei Tolomei e Cecco Angiolieri, entrambi attivi nella Siena del Duecento.

Meo dei Tolomei compone sonetti che sono stati inseriti nel genere del vituperium. I suoi bersagli sono la madre, il fratello Mino e l’ex-amico Ciampolino: su di loro Meo scarica la più sfrenata violenza verbale secondo un modello poetico che ricorda molto Rustico Filippi, altro poeta comico, e la tenzone Dante-Forese. Meo accusa i suoi familiari di sottrargli costantemente denaro a tal punto che egli si ritrova ad essere «così magro che quasi traluco» (così magro che la luce passa attraverso il mio corpo).

L’altro poeta senese, Cecco Angiolieri, è il poeta che si è occupato prevalentemente di poesia comica di cui ci è pervenuto il maggior numero di componimenti. I temi che mette in scena più frequentemente sono la cronica mancanza di denaro, l’odio, ricambiato, nei confronti del padre e l’amore tormentato con la sua donna Becchina. Una sintesi dei temi più importanti per Cecco la si ritrova nel suo sonetto più famoso, S’i’ fosse fuoco, in cui l’Angiolieri si prende gioco del potere della Chiesa e del potere imperiale, lancia stilettate al padre e si beffa delle donne «zoppe e vecchie».

In conclusione, la poesia comica è stata per troppo tempo etichettata come ancella, come subalterna alla più praticata e famosa poesia d’amore ma non per questo è una poesia di serie B. Molti dei suoi temi e dei suoi protagonisti ancora aspettano di essere approfonditi, con studi sempre più innovativi, o semplicemente di essere più conosciuta e di strappare un sorriso al lettore con i suoi insulti medievali. 

Vincenzo Scarpati

 

Per approfondire:

Barbero, Alessandro, La voglia dei cazzi e altri fabliaux medievali, Edizioni Mercurio, Alpignano, 2013.

Berisso, Marco (a cura di), Poesia comica del medioevo italiano, BUR Rizzoli, Segrate, 2018. 

Orvieto, Paolo e Brestolini, Lucia, La poesia comico-realistica, Carocci editore, Roma, 2010.

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Written by : Redazione

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