L’archeologia tardoantica e bizantina studia un periodo storico complesso, la cui definizione ha preso forma molto recentemente, tra il XVIII e il XIX secolo. Le ragioni di questo ritardo sono molteplici, fra queste la ricerca del bello. Per il movimento romantico, le statue greco-romane esprimevano il canone estetico ideale, cosa che portava ad ignorare totalmente quelle tardo antiche e bizantine, decisamente minimali ed espressive. La ricerca del classico, della purezza e dell’estetica avevano difatti per molti secoli prevaricato l’interesse archeologico. Basti pensare allo smantellamento, in epoca moderna, delle chiese tardoantiche costruite inglobando i templi pagani: l’idea era quella di restituire il tempio alla sua originale forma. Ebbene sì, grandi siti archeologici che oggi ci troviamo a visitare, come la Valle dei Templi di Agrigento, Paestum o Selinunte, non conservano più la loro ultima costruzione (una curiosità: uno dei pochi esempi sopravvissuti di chiesa che ingloba un tempio pagano si trova a Siracusa, dove il Duomo di Ortigia fu costruito murando le colonne del tempio di Atena/Minerva).
Per comprendere appieno questi intriganti periodi, è necessario partire dalla loro formulazione storiografica e terminologica.
Il termine tardoantico, con il quale si indica un periodo storico che va dal IV fino al VII secolo, è in realtà più moderno di quanto si possa immaginare. Fu coniato difatti verso la fine del 1800 da Alois Riegl, della Scuola di Vienna, nella forma Spatantike. Da quel momento, gli archeologi iniziarono a comprendere la necessità di una separazione con il periodo romano precedente, ricercando una chiave di lettura del materiale di tipo motivazionale – capire il perché si produce un’opera – piuttosto che estetica.
Anche il termine bizantino, oggetto di numerose controversie nei dibattiti storici, è stato coniato in epoca moderna intorno al XVIII secolo. L’archeologia bizantina, come quella tardoantica, suscitò interesse, già a partire dal XIV secolo, in molte regioni europee, guidato dalla volontà di riscoprire l’Oriente Mediterraneo. Ma è con l’istituzione della prima rivista di archeologia bizantina, la Byzantinische Zeitschflft fondata a Berlino nel 1892, che si può collocare la nascita della disciplina.
Oggi si può parlare di archeologia bizantina dal momento in cui l’impero si scinde in due parti: Occidente e Oriente. È bizantino tutto ciò che si colloca nella parte orientale dell’impero o sotto la giurisdizione di essa (vedi il caso di Ravenna, il sud Italia e le isole) e che va in un arco di tempo molto vasto: dal 300 (Costantino) fino al 1453 (Caduta di Costantinopoli). Allo stesso tempo, va precisato che gli abitanti dell’impero orientale non si chiamavano bizantini, né definivano la loro cultura bizantina. Essi erano romani, al massimo i romani d’Oriente.
Quali sono quindi le caratteristiche che hanno consentito di definire l’archeologia e il mondo tardoantico-bizantino?
Il cambiamento più radicale rispetto all’epoca romana è dato sicuramente dalla nuova religione monoteista. Il cristianesimo, che prende piede dal III secolo in poi in tutte le regioni dell’impero, comporta l’introduzione di nuovi luoghi di culto (come basiliche, santuari, monasteri), nuove tipologie sepolcrali (come sarcofagi e catacombe; si effettua inoltre solo la sepoltura in inumazione, in vista della rinascita del corpo) e di nuove iconografie (attestate negli affreschi, mosaici, statue). La città stessa cambia, insieme all’edilizia, i centri del potere sono i palazzi (palatia), i pretori (pretoria), nonché le sedi vescovili (episcopia). Le aree cimiteriali divengono urbane, così come i quartieri artigianali si dispongono in prossimità degli abitati. Si consolidano rituali, come la proskynesis, l’inchino destinato all’imperatore bizantino e ripreso dall’epoca ellenistica; si stabiliscono nuove leggi (indicativo è il Corpus Iuris Civilis di Giustiniano del VI secolo); e si definisce un nuovo tipo di cultura complessa, la quale a sua volta risulta influenzata dall’epoca pagana e dalle popolazioni con le quali si trova a contatto (Goti, Longobardi, Arabi, Franchi, Veneziani).
Da un punto di vista materiale, nonostante le numerose contrazioni dei commerci che si susseguono nei secoli per molteplici motivi, continuano le produzioni seriali attestate da lucerne, ceramiche, anfore, vetri, metalli, arredi architettonici liturgici e di lusso come gioielli, avori e stoffe. Allo stesso tempo non mancano produzioni locali e regionali, che spesso si uniformano alla cultura materiale importata e gradualmente la sostituiscono. Si diffonde inoltre la tecnica del reimpiego, un fenomeno già presente in epoca classica, ma che trova una grande diffusione in epoca tardoantica-bizantina. Si tratta del riutilizzo di elementi architettonici o statuari non più in uso, poiché è a disposizione in grandi quantità ed economicamente vantaggioso. Questo consente inoltre la nascita di una nuova estetica e di un nuovo gusto.
In conclusione, l’archeologia tardoantica e bizantina è ancora in continuo divenire poiché costituita da molteplici caratteristiche: le analizzeremo assieme, in dettaglio, nei prossimi articoli.
Ilaria Bandinelli
Per approfondire:
AA.VV., Oxford Dictionary of Byzantium, V.1-3, Oxford University Press, New York 1991.
BALDINI LIPPOLIS ISABELLA, L’architettura residenziale nelle città tardoantiche, Carocci, Roma 2005.
BIANCHI BANDINELLI RANUCCIO, Roma – La fine dell’arte antica, Rizzoli, Milano 1970.
TESTINI PASQUALE, Archeologia cristiana, Edipuglia, Bari 1980.
ZANINI ENRICO, Introduzione all’archeologia bizantina, Carocci, Roma 1994.
WICKHAM CHRIS, Framing the Early Middle Ages. Europe and the Mediterranean 400-800. Oxford University Press, New York 2005.