Tutti sanno che la materia quasi esclusiva del Canzoniere di Petrarca è costituita dall’amore del poeta per una donna. Amore che, quando il poeta, in età adulta, decide di raccontare, dando forma unitaria ai suoi frammenti sparsi, definisce, fin dall’esordio del libro, come un giovenile errore. Ma chi è questa donna di cui il poeta s’innamora? Questa donna è Laura. Laura che, incontrata il dì sesto d’aprile del 1327 nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone, diventa la musa ispiratrice di tutta la sua poesia in volgare, la protagonista di una storia d’amore che, come molte storie amorose, conosce alti e bassi e purtroppo non ha un lieto fine. Petrarca infatti non le sarà per sempre fedele ma, dopo averla così tanto amata, desiderata e allo stesso tempo anche odiata, finirà per “sostituirla” con la donna di tutte le donne, la Vergine Maria.
La storia d’amore risulta travagliata, perché Laura è incostante. Assume, nei confronti del poeta, gli atteggiamenti più disparati attraverso i quali dimostra di avere due volti antitetici dalle mille sfumature. Uno che può essere definito “petroso”, l’altro “stilnovista”, perché bisogna ricordare che Petrarca prende a modello sia il Dante delle Rime “petrose”, che quello della Vita Nuova. Nelle Rime “petrose”, raccolta poetica il cui nome deriva dalla donna alla quale sono state dedicate (Petra), il sommo poeta tematizza un amore passionale e carnale, carico di erotismo, che deve essere appagato, ben lontano dal sentimento “stilnovista” che, invece, nella Vita Nuova, lo induce a contemplare e amare Beatrice, incondizionatamente, in quanto guida per giungere a Dio. Quindi, al volto petroso di Laura corrisponde un’amore-passione, a quello stilnovista un’amore-virtù.
Attraversando alcuni dei frammenti più famosi del libro di poesie, è possibile descriverne le caratteristiche essenziali, nonché l’iter percorso da Petrarca, dall’innamoramento alla negazione del suo sentimento.
Nella “prima zona testuale” del Canzoniere, che va da “Per fare una leggiadra sua vendetta”(sonetto 2) a “Lasso me, ch’i’ non so in qual parte pieghi” (canzone 70), prevalgono i tratti petrosi di Laura. Il rapporto amoroso si configura come una guerra senza fine.
L’innamorato poeta non fa altro che chiedere all’amata di soddisfare il suo folle desiderio carnale, accostando la figura dell’amata a quella di Dafne, la ninfa del mito ovidiano, che avendo consacrato la sua verginità a Diana, fugge velocemente dinanzi ad un Apollo ardente d’amore per lei. Nel sonetto 6, Petrarca infatti scrive: Sì traviato è ‘l folle mi’ desio/ a seguitar costei che ‘n fuga è volta,/ et de’ lacci d’Amor leggiera et sciolta vola dinanzi al lento correr mio. Laura, quindi, non è impacciata dai lacci d’Amore, si nega all’amato, generando in lui angoscia e frustrazione tanto che, in una lunga serie di componimenti, finirà per essere definita come aspra fera, nemica, spietata o ancora, come viva petra. Una fera crudele che, “Nel dolce tempo de la prima etade”, frammento 23, conosciuto come “la canzone delle metamorfosi”, punisce l’amante trasformandolo e privandolo, perciò, della sua identità, ogni qualvolta, con scritti o con parole, le supplica amore.
Invece, nella “zona testuale posteriore” alla canzone 70, i tratti di Laura si arricchiscono di particolari positivi, di conseguenza possiamo parlare di una Laura-stilnovista. Petrarca conclude ogni stanza di “Lasso me, ch’i’ non so in qual parte pieghi” citando per esteso non solo l’incipit di alcune canzoni illustri di poeti del passato, quali Arnaut, Guido Cavalcanti, Dante e Cino, ma anche il suo stesso componimento 23 per prenderne le distanze. Infatti, la canzone si presenta come una negazione del giovanile amore-passione. L’amante comprende che la responsabilità della sua infelicità non è imputabile alla donna, che si è negata, ma solo a se stesso, che ha desiderato soltanto la bellezza del suo corpo. Allora, l’amore si trasforma in un sentimento nobilitante, in quanto Laura, nei componimenti successivi, accompagnata da fattezze sovrannaturali, diventa, proprio come Beatrice, veicolo di salvezza, un’angelica forma … Uno spirto celeste, un vivo sole, sostanza virtuosa, in cui Dio si è manifestato.
Petrarca, però, memore dell’insegnamento di Augustinus (Sant’Agostino), nel Secretum (opera latina in cui l’autore fa i conti con la sua interiorità), sa bene in cosa consiste il suo giovanile errore: aver anteposto a Dio l’amore per una creatura mortale. Avrebbe invece dovuto amarlo con tanta fede/ quanta solo a lui per debito convensi.
Il poeta, infatti, sul finire del Canzoniere, a partire dal componimento 363, “Morte à spento quel sol ch’abagliar suolmi”, dà avviso ad un crescendo penitenziale e dimostra la scomparsa definitiva dell’amata dal suo cuore. Nella canzone conclusiva del libro di rime, la cosiddetta “Canzone alla Vergina”, “Vergine bella, che, di sol vestita”, Laura, definita Medusa, creatura che pietrifica chiunque incontri il suo sguardo, lascia il posto a Maria. È così che, finalmente, si conclude una storia d’amore travagliata. Petrarca, ora, è devoto solo alla Vergine bella, saggia, pura, santa, la quale è pregata di raccomandarlo al Figliuol, verace/ home e verace Dio, affinché accolga il suo spirto (..) in pace.
Allora, non è che, forse, anche a Petrarca sarà successo, come a tanti di noi, di pronunciare, almeno una volta nella vita, il famoso carme catulliano? Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior: ti odio e ti amo. Forse ti chiedi come possa fare ciò. Non lo so, ma sento che succede e mi tormento.
A voi le conclusioni.
Alessandra Spagnuolo
Per approfondire:
BALDI GUIDO, GIUSSO SILVIA, RAZETTI MARIO, ZACCARIA GIUSEPPE, La letteratura, dalle origini all’età Comunale, Paravia 1802, Torino 2006
FORNASIERO SERENA, Petrarca. Guida al Canzoniere, Carocci 1980, Roma 2021
FENZI ENRICO, Petrarca. Profili di storia letteraria, Il Mulino 1954, Bologna 2008
SANTAGATA MARCO, I frammenti dell’anima. Storia e racconto nel Canzoniere di Petrarca, Il Mulino 1954, Bologna 2011