L’opera di medievalismo più famosa scaturita dalla penna di J.R.R. Tolkien è, come abbiamo già precedentemente detto, senza dubbio Il Signore degli Anelli, seguito da tutti i racconti che ambientati nella Terra di Mezzo, ma le sue opere minori sono un vero e proprio scrigno di gemme che attendono solo di essere messe in luce. Oggi mi focalizzerò proprio su una di esse, un romanzo breve ambientato in Inghilterra durante un Medioevo fantastico dove si possono incontrare creature magiche e vivere avventure incredibili…in molti sensi.

Il cacciatore di draghi (Farmer Giles of Ham in inglese) venne dato alle stampe nel 1949, ovvero dopo Lo Hobbit ma prima del Signore degli Anelli, ma la sua prima versione risale al 1926. Il titolo italiano non lascia adito ad alcun dubbio su ciò che troveremo tra le pagine di questo racconto: un drago e un cavaliere che l’affronta – di certo non ci immagineremo un cacciatore che insegue fagiani o caprioli, ma piuttosto un eroe in scintillante armatura. Ebbene, la nostra immaginazione ci avrebbe già trascinato troppo alla deriva, verso una storia che non è quella che ci vuole raccontare il Professore. Medievalismo sì, ma con Tolkien non è mai un medievalismo scontato.

La storia ha inizio nel piccolo paese di Ham nella valle del Tamigi, in uno dei tanti piccoli regni in cui l’Inghilterra è divisa nel tempo indefinito in cui ci troviamo, tra il regno di re Coel e re Artù (e così non si è mancato di nominare una delle figure più note del medievalismo). Il nostro protagonista è un contadino (come appare chiaramente nel titolo inglese), e sebbene abbia un nome altisonante da eroe di prima classe, Ægidius Ahenobarbus Julius Agricola de Hammo, viene chiamato semplicemente Giles. Giles acquista lo status di eroe in maniera quasi casuale: un gigante sconfina nelle sue terre e lui riesce a scacciarlo con uno schioppo, un’arma certo non medievale, la cui puntura per il mostro altro non è che una puntura di insetto, ma sufficiente a farlo desistere dal proseguire la sua passeggiata notturna.

Così, per fortuna più che altro, Giles diviene l’eroe del Regno di Mezzo.

Poi c’è il drago.

Il drago Chrysophylax Dives (nome parlante che mescola greco antico e latino) non è da meno nel suo uscire dagli stereotipi che il suo ruolo nella storia rischia di imporgli: codardo, vile, ma dotato di un’astuta malizia, peculiarità di tanti draghi delle opere tolkieniane, che hanno ereditato dal drago Fáfnir della letteratura antico norrena l’eloquio sofisticato e carico di oscuri presagi. Ma l’arte oratoria non è sufficiente a salvare Chrysophylax da un destino ben poco dignitoso per un drago: non solo perdere il proprio tesoro, ma essere anche ridotto a bestia da soma e trasportarlo per il proprio nemico.

Non mancano, inoltre, elementi come una spada prodigiosa, chiamata Caudimordax o Mordicoda, scintillanti cavalieri (in realtà pronti alla fuga di fronte alla minaccia del drago), aiutanti animale come il cane e la giumenta di Giles e della tradizione norrena ritroviamo anche l’indiscussa abilità dei nani nel lavorare i metalli.

Tolkien aveva anche ipotizzato un seguito per questo romanzo breve, sebbene non sia mai stato portato a termine, dove il protagonista sarebbe stato il figlio di Giles, al quale viene dato l’evocativo nome di George (si ricordi che san Giorgio è il patrono dell’Inghilterra).

Troviamo addirittura storie dentro la storia, quando Giles si ricorda che “Da ragazzo, le storie su Bellomarius lo avevano appassionato molto, e prima di entrare nell’età della ragione aveva a volte desiderato di poter avere una spada meravigliosa ed eroica tutta per sé.”, figura questa che ci viene presentata come il più grande uccisore di draghi. Letteratura che parla di letteratura, medievalismo che parla di medievalismo.

Questa storia, come tanti dei suoi scritti, nacque come intrattenimento per i propri figli durante un viaggio nella campagna inglese, quando il toponimo Worminghall destò la curiosità del filologo per via del rimando alla figura del drago, che in inglese viene chiamato anche worm. Il racconto stesso fornisce una spiegazione a tanti toponimi dell’Oxfordshire.

Non manca però un’ammonizione indiretta nella prefazione dell’autore (più chiara per chi abbia già letto il suo saggio Beowulf: i mostri e i critici), nei confronti degli studiosi che leggono testi solo per trovarmi frammenti di un passato ancora in parte sconosciuto, dimenticando il piacere, la meraviglia e tutte le emozioni che ci regala la storia in sé.

Cerchiamo di non dimenticarcene nemmeno noi.

Valérie Morisi

Per approfondire:

DROUT MICHAEL D.C. (a cura di), J.R.R. Tolkien Encyclopedia: Scholarship and Critical Assessment, Routledge, Abingdon-on-Thame 2006.

FORNET-PONSE THOMAS (a cura di), Hither Shore Band 4: Tolkiens kleinere Werke, Scriptorium Oxoniae, 2008.

GIORGIANNI, STEFANO (a cura di), All’ombra del Signore degli Anelli. Le opere minori di J.R.R. Tolkien, Delmiglio Editore, Verona 2016.

TOLKIEN J.R.R., Il cacciatore di draghi, Bompiani, Milano 2005.

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Written by : Redazione

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