Continuiamo il nostro viaggio attraverso l’eresia valdese avviandoci alla conclusione di questo percorso, poiché il mio scopo è trattare l’evoluzione di questo movimento durante il nostro amato Medioevo. Abbiamo lasciato i valdesi rintanati nelle zone più impervie e inaccessibili d’Europa, costretti alla clandestinità, a vivere la propria religiosità all’insaputa di tutti, a fingersi dei buoni cattolici. Se da un lato questo atteggiamento permise loro di sopravvivere, dall’altro li portò a perdere parte della loro identità, fino a quando non incontrarono un’altra eresia nata in Boemia.
Probabilmente i valdesi arrivarono in Boemia a partire dal XIII secolo, con le migrazioni di coloni provenienti dalla Germania e dall’Austria in cerca di terra. Sappiamo che la presenza valdese in in territorio boemo era forte ma mentre il predicatore Jan Hus (1369ca. – 1415) era in vita non si hanno prove di scambi con valdesi boemi o di altre parti d’Europa: i contatti avvennero dopo la condanna del riformatore al Concilio di Costanza (1415).
Due personaggi sono fondamentali per la conoscenza del valdismo in ambito hussita: Jacobello da Strìbo, successore di Hus, e Nicola di Dresda, membro della cosiddetta scuola “alla Rosa Nera” (nome con cui era conosciuto il centro universitario della nazione boema a Praga), egli riuscì a stringere contatti con valdesi della Germania. Con l’avvento al trono dell’imperatore Sigismondo di Lussemburgo (1368-1437) successore del re Venceslao IV (1361-1419), iniziarono gli scontri armati, ma la resistenza e le vittorie che i seguaci di Hus ottennero contro cinque crociate cattoliche fecero sì che per un breve lasso di tempo in Boemia esistessero due Chiese. A seguito di queste vittorie e del conseguente periodo di tranquillità il movimento inizia a dividersi: una corrente più moderata, detta utraquista , e una più radicale, denominata taborita, che negava la dottrina ufficiale. Quest’ultima fazione si ritirò in un centro fortificato che chiamarono con il nome biblico di Tabor ( nella Bibbia indica il limite dei luoghi dove si trovavano le antiche tribù d’Israele, mentre per i Vangeli è il luogo dove avviene la trasfigurazione di Gesù): qui non esisteva proprietà privata e la messa venne trasformata in sola lettura del Vangelo.
Nel 1431 viene scritta la “Confessione di fede taborita” che mostra tracce del pensiero valdese per quanto riguarda il rifiuto del purgatorio ed il principio secondo il quale la vera Chiesa è quella che si spoglia dei propri beni ed è perseguitata. Protagonista in questi anni, come colui che mantenne i contatti tra valdesi e taboriti, fu Federico Reiser, un valdese che aveva vissuto per un periodo a Tabor. Fu tra i primi a farsi ordinare ministro taborita per servire le comunità tedesche unite a Tabor e concretizzare così l’unione valdo-taborita.
Nel 1457 dall’incontro fra gli ultimi taboriti non violenti e i valdesi nasceva l’Unità dei fratelli Boemi, i cui ministri si distingueranno per la loro fedeltà al principio di assoluta povertà per chi predica e la necessità di guadagnarsi il pane quotidiano. Dagli anni ’80 del Quattrocento la nuova generazione di ussiti, guidati da Luca di Praga, si dimostra più diffidente nei confronti dei valdesi, soprattutto per ragioni di prudenza, ma l’Unità ebbe sempre un forte senso di solidarietà verso i valdesi.
Dalla metà del Quattrocento la paura di un contagio boemo dilagò in Europa. tanto da provocare una violenta ondata repressiva nel ducato di Savoia, nel Delfinato e non solo. Per difendersi, i valdesi rinunciarono alla loro dottrina della non violenza ribellandosi e organizzando una guerriglia.
Se la prima Riforma, quella hussita, aveva contribuito a rendere più chiari certi temi ai valdesi e aveva rinfocolato la resistenza al potere della Chiesa di Roma, il progetto riformistico di Lutero li spinse, se volevano sopravvivere, a schierarsi. Così alcuni predicatori valdesi si recarono verso i maggiori centri del protestantesimo (soprattutto in Svizzera) per incontrare i nuovi riformatori e capire se ci fosse spazio per loro. Nel 1532 a Chanforan alcuni rappresentanti valdesi si riunirono e presero una serie di decisioni che mutarono il contenuto dottrinale e istituzionale. L’adesione alla Riforma ginevrina comportò sia l’abbandono totale della clandestinità e della “vita notturna”, sia della predicazione itinerante che aveva caratterizzato fin dalla sua nascita il movimento. Essi rinunciarono anche alla povertà volontaria, che si ritiene non sia più un atto d’amore verso il prossimo, e al celibato dei ministri. Ovviamente le decisioni non furono accettate all’unanimità, ma i valdesi delle valli alpine decisero di continuare per la loro strada: le decisioni prese a Chanforan furono confermate l’anno seguente al sinodo di Prali, concludendo così l’epoca del valdismo medievale. Ma il valdismo non si limitò meramente ad aderire alla Riforma, infatti a Chanforan fu presa anche la decisione di tradurre la Bibbia in francese e l’operazione fu affidata a Pierre Robert detto l’Olivetano. I primi esemplari comparvero nel 1555. La traduzione della Bibbia fu considerata il dono, non soltanto simbolico, dei Valdesi alla Riforma, dal momento che essa era stata l’origine e la base della loro protesta.
Così si conclude la storia dei valdesi medievali, ma rimane c’è ancora altro da dire su diversi temi che riguardano l’eresia di Valdo.
Giulia Panzanelli
Per continuare la storia sui valdesi leggi anche:
– Gli inizi del movimento valdese: la “conversione” di Valdo
– Da movimento povero a spietata eresia: il viaggio valdese continua
– Vita in clandestinità: gli eretici valdesi fra XIII e XIV secolo
Per approfondire:
MOLNAR AMEDEO, Storia dei valdesi. Dalle origini all’adesione alla Riforma, vol. I, Claudiana, Torino 1974.
TOURN GIORGIO, I valdesi nella storia, Claudiana, Torino 1996.