Oggi siamo in compagnia della storica e saggista Elena Percivaldi

Laureata in lettere moderne all’Università degli Studi di Milano con una tesi in storia medievale sulla canonica di Santo Stefano di Vimercate (che ha comportato la trascrizione e lo studio di quasi 200 pergamene all’epoca inedite, datate 1234-1277, conservate all’Archivio di Stato di Milano), dirige lo studio Perceval Archeostoria, che si occupa di consulenza e ricerca in ambito storico-archeologico e artistico-musicale e collabora con numerose testate e riviste di settore. E’ inoltre autrice di saggi su diversi argomenti storici tra i quali ricordiamo “La Navigazione di San Brandano”, fonte anonima del X secolo, edita da Il Cerchio (che le fece vincere la sesta edizione del premio Italia Medievale) e “La vita segreta del Medioevo” (Newton Compton), più volte ristampato e tradotto in portoghese brasiliano. Negli anni ha avviato numerosi progetti e collaborazioni dedicati, tra gli altri, ai Longobardi: tra questi  ricordiamo la  fortunata monografia “I Longobardi. Un popolo alle radici della nostra storia” (Diarkos, 2020), nella cinquina dei finalisti del Premio Italia Medievale 2021.  Vari suoi volumi sono stati tradotti in numerose lingue, europee e non.

 

  • Benvenuta Dott.ssa Percivaldi e grazie per aver accettato questa intervista. Vorremmo cominciare chiedendoLe come ha scoperto il suo amore per il Medioevo e cosa l’ha portata ad approfondire questo periodo storico.

E’ un amore che nasce da lontano, ancora ai tempi del liceo. Al di là degli eventi e delle date, mi sono sempre chiesta cosa ci abbia resi quel che siamo oggi, come siamo cambiati e in che modo lo siamo nel corso del tempo, cosa abbia determinato e con quali esiti il dialogo o lo scontro tra le diverse civiltà. Le epoche che mi interessavano maggiormente erano l’antichità e il Medioevo e da lì sono partita, concentrandomi poi soprattutto sul periodo di transizione tra ciò che restava dell’impero romano e l’arrivo dei cosiddetti “barbari” tra tardo-antico e alto Medioevo. Un’epoca per lo più trascurata, quella dei secoli V-VIII, ma che invece è estremamente interessante per via delle profonde dinamiche che si innescano e che saranno dense di conseguenze per le vicende dei secoli a venire. 

  • Conoscendo la sua attività di divulgatrice, quanta importanza ritiene che abbia la divulgazione della storia, in particolare dell’Età di Mezzo? Secondo lei, infatti, è ancora importante conoscere e studiare la storia medievale?

Credo sia assolutamente necessario lottare contro i luoghi comuni e contro le “fake news” non solo quando riferiti alla stretta attualità storica e politica, ma anche quando riguardano il passato. Il Medioevo, da questo punto di vista, è stata una vittima perfetta: ancora oggi è diffusa la percezione, figlia dell’elaborazione illuminista, del Medioevo come millennio oscuro e oscurantista, sostanzialmente fisso e immobile, dominato dalla Chiesa e pervaso dal terrore del demonio e della dannazione eterna, nonché sentina di ogni arretratezza e bruttura immaginabile.

Come continuano a ribadire anche nomi ben più illustri del mio,  non c’è niente di più sbagliato: il Medioevo è anche l’epoca di grandi invenzioni e grandi viaggi, della nascita delle città e delle università, degli stati e del diritto moderno, delle lingue che parliamo, insomma è sta alla base della nostra cultura e di buona parte di ciò che siamo oggi. Ma ha poi senso etichettare un intero periodo di mille anni come sostanzialmente omogeneo, dalla caduta dell’impero romano alla scoperta dell’America, quando ormai è acclarato che fu un’epoca storica estremamente sfaccettata e ricchissima di particolarismi e di diversità? Cos’hanno in comune Carlo Magno, che vive nell’VIII secolo, e Lorenzo il Magnifico, che muore nel 1492? Assolutamente nulla.

Il concetto di “Medioevo” è nato come idea di un’età “di mezzo” tra splendori classici e rinascimento: è quindi un concetto negativo e artefatto al punto che più di uno, oggi, si spinge – e credo a ragione – nel dire che non esiste. Favorire una conoscenza corretta e non “dogmatica” del Medioevo è quindi quanto mai essenziale, ma senza cadere nell’eccesso opposto, ossia un’anacronistica e altrettanto falsa rivalutazione aprioristica.

Una cosa bisogna sempre evitare di fare quando si studia il passato: giudicarlo, positivamente o negativamente che sia, alla luce di valori e sensibilità moderne, perché è il modo migliore per travisarlo e non capirlo. La storia invece va sempre contestualizzata e il Medioevo non fa eccezione. Non esistono epoche pervase completamente dalle tenebre  ed epoche immerse solamente nella luce, è una pia illusione. Nemmeno la nostra è esente da terribili ingiustizie e laceranti contraddizioni.

  • Il mondo della divulgazione non è facile e comporta sacrifici e rischi ma anche grandi soddisfazioni, perciò vorremmo chiederle per quale motivo ha scelto di intraprendere questo percorso e se può dare qualche consiglio ai giovani storici che vogliono percorrere la stessa strada.

Ho scelto di continuare a fare ricerche ma anche di dedicarmi alla divulgazione perché amo parlare di quel che studio e portarlo a conoscenza di un pubblico più ampio. Non ritengo, ovviamente, di stare svolgendo una “missione” o qualcosa  del genere, ci mancherebbe: non ho certo questa supponenza! Anzi, vivo nel perenne dubbio e anche nella consapevolezza che la verità sia difficile da cercare e forse impossibile da trovare: come diceva Indiana Jones in “Indiana Jones e l’ultima crociata”, film a cui sono molto affezionata, “se vi interessa la verità, l’aula di filosofia del professor Tyre è in fondo al corridoio”. Lui parlava di archeologia, sostenendo che è una disciplina che si dedica alla ricerca dei fatti e non della verità, ma sono convinta che ciò valga anche per la storia. Credo però che sia essenziale diffondere il più possibile la conoscenza perché solo la conoscenza consente di percepire se stessi e gli altri come  esseri complessi e frutto di evoluzioni e cambiamenti storici, di incontri e scontri, di continue negazioni, interazioni e compromessi. Viceversa, l’ignoranza porta al dogmatismo, alla chiusura, all’incapacità di confrontarsi e genera diffidenza e paura, perché si teme quello che non si conosce.

Conoscere e comprendere la storia significa però anche contestualizzare fatti, eventi e personaggi possedendo gli strumenti e il distacco intellettuale necessari per farlo. Solo così si possono evitare cacce alle streghe e pelose crociate “ad removendum” e “damnatio memoriae” a comando, tutte manifestazioni dettate dal fanatismo e – a mio modesto avviso – prive di senso, che denotano profonda ignoranza e incapacità di relazionarsi serenamente con il passato. Il passato va studiato e sottoposto a critica (e se serve va anche condannato, certo), ma non deve essere mai cancellato e negato.

A livello metodologico non amo affatto i sensazionalismi, né raccontare la storia in maniera enfatica: non è una telecronaca di calcio! Per fare divulgazione corretta non bisogna gigioneggiare con chi ascolta tracciando parallelismi anacronistici, dando informazioni parziali o false, addirittura alludendo a presunti misteri o esoterismi di facile impatto mediatico ma dannosi per la corretta comprensione di luoghi (penso a Castel del Monte), personaggi (il povero Federico II, ad esempio) ed eventi (l’abusatissima questione dei Templari). Semplificare non significa appiattire e banalizzare: vuol dire spiegare concetti complessi con parole semplici per far capire, ma lasciando chiaramente intendere che l’argomento non è certo esaurito lì, che si sta solo mostrando la punta dell’iceberg e che per scoprire il resto è necessario studiare e approfondire ancora. E sempre su fonti affidabili: quelle dell’epoca devono sempre essere sottoposte alla necessaria esegesi per averne una interpretazione corretta.

Un consiglio per chi vuole svolgere questa attività? La metodologia da seguire è quella comune sia alla ricerca storico-scientifica che al giornalismo di qualità e si basa sulla verifica puntuale delle notizie e delle fonti, sulla chiarezza espositiva, sul racconto dei fatti senza dare mai nulla per scontato, sullo studio e sull’aggiornamento continuo. Bisogna poi, come già detto, evitare facili sensazionalismi e forzature, anche se d’effetto e anche se regaleranno meno visualizzazioni e meno “clic”. E soprattutto niente scorciatoie: ci vuole studio e tanta esperienza, bisogna lavorare duramente e anche sbagliare, si fa tesoro (e tanto!) anche di quello, purtroppo succede perché nessuno è perfetto.

Tutto aiuta a imparare e a crescere… A ogni articolo e ogni libro ho sempre un’agitazione terribile, tanto che non ci dormo… E’ una cosa bellissima e terribile insieme. Ma è così, ogni santo giorno.

  • Nella sua ormai ultraventennale carriera lei ha toccato moltissimi temi con differenti riviste: ad esempio, l’edizione tradotta dal latino e commentata della “Navigatio sancti Brendani” (“La navigazione di San Brandano”), opera anonima del IX-X secolo grazie alla quale, ricordiamo, ha vinto il premio Italia Medievale nel 2009. Cosa l’ha spinta ad affrontare questo studio e cosa l’ha colpita della storia dell’Irlanda altomedievale, da noi meno conosciuta? 

Tra le tematiche cui sono da sempre affezionata c’è anche il mondo celtico nella sua accezione più vasta, dallo studio storico-archeologico delle popolazioni che abitavano l’Europa tra la tarda Età del Bronzo e quella del Ferro al Celtismo inteso come fenomeno culturale nel più ampio spettro possibile. L’Irlanda è una terra straordinaria perché ha saputo preservare molta della sua eredità di matrice pagana e celtica facendola dialogare, attraverso la sapienza dei suoi monaci, con il cristianesimo. Il risultato è stato un miracolo culturale, un unicum religioso, letterario e artistico di grande fascino cui la civiltà europea è profondamente debitrice. Anche in questo caso, si tratta di argomenti che frequentavo già durante i miei studi universitari a Milano. Conobbi l’epopea di Brandano seguendo le lezioni del compianto professor Giovanni Orlandi, che allora in Statale insegnava Lingua e Letteratura medievale. Stava portando avanti da tempo la monumentale edizione critica e il commento di quest’opera oggi poco conosciuta ma secoli fa molto diffusa e importantissima per l’immaginario medievale, tanto da suggestionare anche la fervida fantasia di Dante. La storia dell’abate Brandano che con un gruppo di monaci si mette in viaggio per mare alla ricerca della “terra repromissionis Sanctorum”, una sorta di Paradiso terrestre ai confini del mondo allora conosciuto, le prove fisiche e spirituali che deve superare, i mostri e le creature incredibili che incontra via via e l’esperienza che compie sono ingredienti di uno straordinario itinerario che porta l’uomo a sfidare i suoi limiti per trovare se stesso e il proprio destino. Un classico del genere, insomma, alla pari dell’“Epopea di Gilgamesh”, dei cicli arturiani e dei “romanzi di formazione” moderni. Mancava allora un’edizione completa che proponesse sia il testo latino che la traduzione italiana a fronte, un’ampia introduzione e un commento che aiutassero il lettore a orientarsi nella vasta gamma di rimandi e suggestioni di un’opera complessa, scritta da un monaco di origine irlandese di vasta cultura che padroneggiava i classici e la Patristica, la Bibbia e le saghe irlandesi. Ho cercato di fornire questo strumento e ringrazio il grande Franco Cardini, per me da sempre una guida e un maestro, per avermi onorato della sua prefazione. Fu un libro fortunato perché vinse il Premio Italia Medievale e ancora oggi lo considero uno dei lavori di cui vado maggiormente fiera.

  • Sempre nel 2009 esce, per la milanese Ancora Editrice, “I Lombardi che fecero l’impresa. La Lega Lombarda e il Barbarossa tra storia e leggenda”. Ci può parlare di questo mito che circonda la Lega Lombarda? 

Il libro nacque ancora una volta da approfondimenti iniziati durante la biennalizzazione del corso di Storia Medievale: allora studiavo (e mi sarei laureata) con il prof. Roberto Perelli Cippo e da milanese proposi di occuparmi di questo. Fu un lungo studio condotto in primo luogo sulle fonti del tempo – le cronache di parte imperiale e comunale, i documenti, i diplomi – per ricostruire criticamente gli eventi, ma alla lunga divenne anche l’occasione per approfondire la percezione della lunga lotta tra Comuni e Barbarossa nell’immaginario collettivo. Interessanti erano soprattutto le vicende del giuramento di Pontida, della battaglia di Legnano e di Alberto da Giussano, che nel Risorgimento vennero elaborate partendo da elementi presenti nelle cronache, enfatizzati fino ad elevarli a simboli della lotta contro l’occupazione straniera: in pratica si tracciò un parallelismo tra i Comuni medievali che cercavano la libertà contro l’imperatore tedesco Barbarossa e i lombardo-veneti che nell’Ottocento tentavano di scacciare gli austriaci. Il mio libro racconta la storia di questa estenuante lotta da un punto di vista inedito, quello di Federico Barbarossa. La sua figura emerge in una luce differente da quella divulgata dalla propaganda avversa, un uomo di tempra corretto e conscio del suo ruolo, innamorato del sogno di restaurazione di un impero che fosse davvero autorevole e universale. Gli stessi Comuni non avevano alcuna intenzione di rinnegarne l’autorità imperiale in nome di una all’epoca anacronistica “autonomia”: intendevano semplicemente vedersi riconosciute quelle prerogative di autogoverno (come il diritto a eleggersi i consoli) che formalmente spettavano all’imperatore ma che di fatto, anche a causa della lunga lontananza dei sovrani dall’Italia, esercitavano ormai da tanto tempo. 

  • Ricordiamo che nel 2020 è uscito il suo libro “I Longobardi. Un popolo alle radici della nostra storia”. Perché ha deciso di trattare la storia di questa popolazione tanto importante per la penisola italiana nell’Alto Medioevo? Cosa l’ha affascinata?

Ho iniziato a studiare i Longobardi sin dai tempi dell’Università, incuriosita dallo straordinario valore estetico delle loro espressioni artigianali e artistiche e al tempo stesso affascinata dalla loro capacità di contaminare le proprie radici pagane e “germaniche” – uso questo termine, oggi scientificamente criticato e considerato fuorviante, per semplificare – con gli apporti derivanti dal contatto con le genti delle steppe, le popolazioni mediterranee e il cristianesimo.

All’epoca, parlo di inizio degli anni Novanta, si trattava di un argomento ancora piuttosto “di nicchia” e ricordo di aver visitato alcuni dei loro “luoghi della memoria” come Cividale, Castelseprio e Pavia, cercandone le vestigia con pochi testi a disposizione tra cui l’insostituibile “Storia dei Longobardi” di Paolo Diacono, che leggevo come la Bibbia… Battute a parte, da allora di strada ne è stata percorsa tanta e il loro approccio anche per me è stato una scoperta continua, agevolato da quanto via via emergeva grazie a nuovi studi e scoperte archeologiche. Negli ultimi anni, finalmente, i Longobardi hanno beneficiato, anche grazie al riconoscimento nel 2011 del sito seriale Unesco  – “I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-744)” -, di un’attenzione particolare non più solo a livello accademico, ma anche mediatico grazie a importanti mostre ed eventi. Personalmente credo però che ci sia molto ancora da fare per “portarli” davvero al vasto pubblico e mostrarne l’eredità profonda, sia artistica che culturale, lasciata sul territorio: nei monumenti, nelle istituzioni politiche, negli usi e nel diritto, nella lingua che parliamo, ricca di prestiti dal loro idioma.
In ciò penso siano molto utili anche gli eventi di carattere storico-rievocativo: personalmente ne ho co-organizzati e curati parecchi, dall’Umbria al Trentino, dalla Lombardia alle Marche, con la collaborazione di alcuni dei migliori ricostruttori del settore: abbiamo dato vita anche un progetto dedicato, intitolato “Alla scoperta dei Longobardi” (www.ilongobardi.jimdo.com). Debbo dire che nella mia esperienza questi eventi si sono dimostrati molto efficaci nel portare al pubblico non specialista, specie più giovane, un’immagine dei Longobardi che fosse corretta e aggiornata alle ultime acquisizioni scientifiche ma al tempo stesso affascinante tanto da stimolarne ulteriormente l’approfondimento e la conoscenza. In questa direzione cercano di andare anche i libri che ho scritto di recente sull’argomento, a cominciare da “I Longobardi. Un popolo alle radici della nostra Storia”, edito da Diarkos e attualmente nella cinquina dei finalisti del Premio Italia Medievale 2021. Si tratta di un libro che cerca, per la prima volta, di fornire una sintesi dettagliata della vicenda del Longobardi in tutti i suoi aspetti – storico-politico, archeologico, materiale. La prima parte ricostruisce il quadro storico, dalle mitiche origini alla fine del regno ad opera di Carlo Magno, toccando anche i grandi problemi oggetto dell’attuale dibattito scientifico, dall’etnogenesi all’interpretazione dei corredi: la loro fu un’invasione improvvisa e violenta oppure una migrazione progressiva? Si trattava davvero di una stirpe granitica e vicina alla “barbarie primitiva”, o di un popolo che seppe adattarsi e trasformarsi “sul campo”?  La seconda riguarda le fonti, da Paolo Diacono, il loro “narratore” per eccellenza agli altri storiografi e cronisti del tempo (romani, bizantini, franchi). Un ruolo speciale è riservato anche alle fonti materiali e archeologiche e alla loro a volte problematica (e dibattuta) interpretazione. Infine, la terza parte – la più corposa – dedicata ai diversi aspetti della vita materiale, dal culto dei morti all’abbigliamento, dalle leggi al ruolo della donna, dall’alimentazione, all’armamento e al modo di combattere, dall’artigianato alla scrittura, dalla religione agli insediamenti. Il risultato è un affresco molto dettagliato che mostra come i Longobardi, riuscendo nella difficile opera di sintesi tra eredità classica e nuovi apporti “barbarici”, costituirono un “ponte” decisivo tra Mediterraneo e nord Europa e si fecero protagonisti in prima persona degli epocali cambiamenti geopolitici che, agli albori del Medioevo, hanno costituito la base per la formazione della futura identità del nostro Continente. 

  • Quest’anno, invece, ha dato alle stampe un altro volume, sempre dedicato ai Longobardi, dal titolo “Sulle tracce dei Longobardi. Italia settentrionale” (Edizioni del Capricorno). In cosa si differenzia rispetto al testo precedentemente citato, dedicato a questo importante popolo?

Il libro continua idealmente e tematicamente il discorso iniziato con l’altro saggio: in effetti, i due testi sono complementari. “Sulle tracce dei Longobardi”, come dice il titolo, ripercorre la storia e le vestigia dell’occupazione longobarda in Italia attraverso il racconto dei luoghi che ne serbano palpabile testimonianza. Questo volume è incentrato, per scelta editoriale, solo sull’Italia settentrionale, cuore palpitante dell’antico Regnum, quindi comprende la disamina dal Friuli Venezia Giulia al Piemonte passando per il Trentino Alto Adige, il Veneto, la Lombardia, l’Emilia Romagna. All’interno sono trattati i luoghi che fanno parte del sito seriale Unesco, come il Complesso patriarcale e il Tempietto di Cividale del Friuli (Udine), il monastero di San Salvatore e Santa Giulia a Brescia, il castrum di Castelseprio-Torba (Varese), ma anche  le città che ne furono capitali e residenze (come Verona, Pavia, Monza, e Milano), le tantissime chiese, abbazie e monasteri fondati e dotati dai Longobardi e non da ultimo i musei che custodiscono le testimonianze (monili, elementi dell’armamento e dell’abbigliamento, utensili, ceramiche, oggetti comuni) della loro vita materiale riemerse grazie agli scavi archeologici. In preparazione per il prossimo anno è previsto il secondo volume, dedicato all’Italia centro-meridionale. 

  • Siamo giunti alla conclusione di questa bella intervista. Prima di salutarci vorremmo chiederle se ha nuovi progetti in mente e se può darci qualche anticipazione.

Continua il progetto, che sto curando sempre per le Edizioni del Capricorno, dedicato ai castelli: dopo i volumi su Lombardia, Toscana, Emilia Romagna e Veneto, è di imminente uscita quello dedicato al Friuli Venezia Giulia. Sto realizzando  questo progetto insieme a Mario Galloni, giornalista e mio compagno anche nella vita, e per il prossimo anno sono previste nuove uscite che ci porteranno a trattare i castelli del centro Italia. In pubblicazione in autunno c’è anche “Lombardia medievale”, un ampio saggio che racconta una serie di luoghi – molti dei quali defilati e poco conosciuti – che custodiscono straordinari tesori artistici che meritano a mio avviso di essere riscoperti e visitati. Oltre alla collaborazione ormai rodata con le riviste “BBC History Italia”, “Civiltà Romana”, “Storie di Guerre e Guerrieri”, sempre in autunno riprenderà assiduamente anche quella con “Medioevo”, un mensile su cui scrivo sin quasi dagli albori e che amo moltissimo perché è stato il primo ad affrontare questo periodo storico in maniera così autorevole, variegata, completa e accattivante. Il direttore, Andreas Steiner, ha dato già l’ok a molte mie proposte e non vedo l’ora di cominciare! Tra agosto e settembre parteciperò a vari eventi: a Gualdo Tadino, in Umbria, a un convegno dedicato alla battaglia di Tagina, episodio cruciale della guerra greco-gotica, poi a Busto Arsizio per una giornata di studi sui Longobardi, e poi a fine settembre sarò di nuovo al Festival del Medioevo di Gubbio, appuntamento imprescindibile per chi il settore. Riprenderò anche i corsi, le conferenze e le presentazioni dei miei libri, tutte attività che continueranno in autunno e inverno; il 2022 porterà con sé altri progetti, eventi e pubblicazioni…  Il tutto, ovviamente, emergenza sanitaria permettendo. A tal proposito, mi spiace constatare come nelle enormi difficoltà causate dalla pandemia chi opera nel settore cultura sia stato ignorato da chi ha previsto aiuti e sostegni, come se fosse un orpello inutile. A chi ci governa e a chi sta all’opposizione vorrei invece ricordare che un Paese immemore e dimentico della propria cultura e delle proprie radici è un Paese morto e senza futuro: forse sarebbe ora di tenerne conto e tradurre finalmente in pratica i proclami evitando che restino vuota propaganda elettorale.  Purtroppo l’ultimo anno e mezzo è stato un periodo orribile per tutti, molte persone ci hanno lasciato a causa del virus e molti altri hanno perso il lavoro, anche tra amici e colleghi. Guardiamo e avanti e andremo avanti anche stavolta, fiduciosi verso il futuro: la gente ha bisogno di cultura e anche stavolta noi ci siamo e cercheremo di fare del nostro meglio, ciascuno nel suo, come sempre.  

 

 

Ringraziando Elena Percivaldi per questa bella intervista, le auguriamo il meglio per i suoi progetti futuri.

 

Eleonora Morante, Andrea Feliziani

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Written by : Redazione

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