Abbiamo il piacere di trovarci in compagnia di Francesco D’Angelo, classe ‘84, Dottore di Ricerca e Cultore della materia (Storia medievale, Filologia germanica) presso il Dipartimento di Storia, Cultura, Religioni dell’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma. D’Angelo ha già collaborato con noi firmando alcuni articoli quali “L’invenzione di un’identità vichinga in America” e “Prima dei vichinghi: antichi intrecci tra Scandinavia e Mediterraneo”, nonché permettendoci di recensire i due saggi che ha dato alle stampe nel 2021, Il primo re crociato. La spedizione di Sigurd in Terrasanta (Laterza) e La fonte di Urðr. La Scandinavia, l’Europa, il Mediterraneo (secoli VIII-XIII) (Vocifuoriscena). Ringraziamo ancora una volta Francesco per la sua disponibilità e senza indugi ci immergiamo nel Medioevo del profondo Nord!

 

Comincerei con un classico: moltissimi studiosi di Medioevo devono la loro vocazione a un grande amore giovanile per una qualche forma di medievalismo, è così anche per te? Cosa ti ha portato a studiare il Medioevo delle fredde terre del Nord?

Per me è stato così solo in parte, nel senso che alla base della mia decisione di dedicarmi agli studi medievali vi fu la mia grande passione per l’opera di Tolkien, che mi aprì le porte del mondo nordico (celtico più che scandinavo, in quella fase) e della letteratura medievale, spingendomi alla lettura di opere come i romanzi di Chretien de Troyes e l’Edda di Snorri ma anche di pietre miliari della storiografia come i lavori di Jacques Le Goff e Franco Cardini. Da qui la mia decisione di studiare il medioevo in generale. Inizialmente, infatti, il mio percorso di studi mi ha portato a interessarmi a tematiche abbastanza familiari alla nostra medievistica, come la storia delle crociate, dei pellegrinaggi e del papato. Ciononostante, quando si trattò di scegliere la mia prima tesi di laurea (triennale) le antiche passioni per il mondo genericamente “celtico”, con il suo forte retaggio folclorico e meraviglioso, mi portarono a proporre al mio relatore di allora, il prof. Alfonso Marini, lo studio di un testo particolare, la Navigatio sancti Brendani, opera latina anonima del X secolo che racconta le peregrinazioni dell’abate irlandese Brandano e dei suoi monaci, e che unisce elementi tipici della letteratura cristiana ad altri provenienti dall’antica cultura irlandese pagana. La scelta di studiare temi e questioni attinenti propriamente al medioevo nordico è avvenuta più tardi e quasi per caso al termine del mio percorso di laurea magistrale, quando giunse il momento di decidere un argomento per la tesi. Presentandomi a quella che sarebbe poi stata la mia relatrice, la prof.ssa Giulia Barone, proposi una rosa di cinque possibili tematiche, tra cui ancora la Navigatio (mi sarebbe infatti piaciuto approfondirne lo studio e la diffusione) e la figura di Federico II di Svevia. Con lungimiranza, la professoressa scartò tutti gli argomenti tranne uno: fu così che prese forma la mia tesi sul re norvegese Olaf Haraldsson il Santo, figura in cui mi ero imbattuto leggendo alcuni lavori classici sui vichinghi e che, a mio avviso, meritava e merita tuttora di essere approfondita, studiata, conosciuta.

 

Quali sono le principali difficoltà di studiare in Italia la storia di una regione che viene spesso percepita come periferica, estranea, che raramente si affronta nella scolarizzazione prima dell’università? Quali consigli daresti a chi volesse seguire il tuo esempio e intraprendere la stessa specializzazione?

Certamente l’assenza (o la marginalità) della storia dei paesi nordici nei nostri programmi di studio è un limite oggettivo che, per quanto in parte comprensibile, molto spesso fa sì che gli studenti non siano minimamente consapevoli dell’esistenza di questo “mondo” così complesso e tutt’altro che isolato. A ciò si aggiunge anche un velato pregiudizio di certa medievistica italiana, che reputa gli altri “medioevi” (nordico, slavo, baltico e non solo) periferici e secondari, perciò superflui, rispetto al “nostro” medioevo, quello italiano e mediterraneo. Vi è poi una difficoltà che potremmo definire “tecnica”, ovvero la necessità di studiare e conoscere lingue germaniche, quindi diverse dal latino, per poter accedere in modo diretto alle fonti, da quelle norrene a quelle anglosassoni e via dicendo. Tenendo conto di tutto questo, a chi desidera cimentarsi con il Medioevo nordico il consiglio che mi sento di dare è quello di armarsi di pazienza, non demordere e – soprattutto – di acquisire almeno i rudimenti della filologia germanica, perché per fare storia non si può prescindere dalla lettura diretta delle fonti. Per quanto riguarda la storiografia e la produzione scientifica in italiano, mi sembra comunque che negli ultimi anni si stia assistendo a una inversione di tendenza rispetto al passato, certamente favorita anche dal ritorno di fiamma per i vichinghi nella cultura pop.

 

Il Medioevo nordico ha confini temporali differenti da quelli a cui siamo abituati, come gestisci/focalizzi i tuoi studi? In modo da poterli integrare nei programmi di studio/ricerca dell’università italiana?

Che si tratti dell’età tardoantica, dell’età vichinga o del basso Medioevo, tutte le periodizzazioni sono sostanzialmente convenzioni che hanno lo scopo di facilitare lo studio e la comprensione del passato. Si tratta però, sempre e comunque, di categorie relative, elaborate a partire da avvenimenti e fenomeni che, su scala regionale più o meno larga, vengono individuati come segni o indicatori di una cesura o un cambiamento, di una “fine” e di un “inizio”. Tenendo sempre presente questa relatività delle periodizzazioni, non è quindi particolarmente complicato integrare il medioevo nordico in quello più genericamente europeo, alla stregua di quanto già avviene quando si tratta di studiare la storia delle relazioni tra l’Occidente e, per esempio, i popoli e i paesi dell’estremo Oriente (dai Mongoli all’impero cinese). L’importante è avere sempre ben chiaro qual è il sistema di riferimento in cui ci si trova a operare. Più che sulle periodizzazioni o sui confini temporali, in un’ottica comparativa e inclusiva è semmai utile concentrarsi sui fenomeni appunto, sui processi storici, sui cambiamenti sociali, politici, religiosi intervenuti nei differenti paesi in tempi e modi diversi.

 

Il rapporto con l’archeologia: alcuni periodi della storia scandinava sono particolarmente parchi di fonti scritte, specialmente dirette, e l’interazione con gli studi dei resti materiali di altro genere diventa ancora più importante. Sono molto differenti le dinamiche in confronto allo studio del Medioevo europeo e/o italiano? Quali aspetti di questa collaborazione interdisciplinare credi andrebbe portato più all’attenzione del grande pubblico?

L’apporto dell’archeologia, in verità, è fondamentale non solo per la conoscenza della storia scandinava: basti pensare alle importanti campagne di scavo condotte nel nostro paese, a quello che il lavoro degli archeologi ci ha permesso di conoscere sui diversi popoli che, a partire dalla tarda antichità, si sono avvicendati in Italia. Nel caso dei paesi nordici, in cui l’uso della scrittura conobbe una diffusione e un impiego nuovo e significativo solo con la conversione al cristianesimo, l’archeologia in molti casi ci consente di sopperire alla carenza di testimonianze scritte, soprattutto per quanto riguarda riti e pratiche religiose pre-cristiane. Altrettanto importanti sono poi gli scavi effettuati in contesti urbani o proto-urbani, come Oslo e Trondheim in Norvegia o Gamla Uppsala in Svezia, che ci consentono di comprendere meglio le dinamiche insediative e il processo di urbanizzazione avvenuto in Scandinavia nel corso del medioevo. Fondamentale, in ogni caso, è poter confrontare il dato archeologico con la testimonianza scritta (saghe, cronache, lettere), così da poter ricostruire un quadro storico il più accurato possibile.

 

Quale aspetto del Medioevo nordico vorresti vedere più rappresentato? Quali sono secondo te le grandi zone d’ombra nella divulgazione e nella saggistica italiana in merito?

Se pensiamo alla situazione attuale della saggistica e della storiografia in italiano sui paesi nordici, il dato evidente che salta agli occhi è l’onnipresenza e l’egemonia di un tema su tutti, quello dei vichinghi. Nel nostro immaginario, la Scandinavia medievale fu infatti la patria di questi spietati predoni dei mari che per circa tre secoli terrorizzarono l’Europa. È esistita però anche un’altra Scandinavia dell’età di mezzo, una Scandinavia cristiana che ha visto la formazione di tre regni distinti (Norvegia, Svezia e Danimarca, cui si devono aggiungere l’Islanda e le diverse realtà politiche costituite dalle isole settentrionali dell’arcipelago britannico) e il loro ingresso nel concerto delle nazioni europee. Ecco, senza nulla togliere all’importanza e all’indubbio fascino dell’epoca vichinga (con tutti i suoi elementi legati alla mitologia, al paganesimo, al folclore), nell’ottica di un “medioevo europeo” credo dovrebbe essere ugualmente rappresentata anche la fase propriamente “medievale” della storia scandinava, caratterizzata sul fronte interno da riforme e cambiamenti religiosi e sociali, sul fronte esterno da relazioni stabili (non sempre pacifiche) con gli altri paesi europei. Una fase storica che, purtroppo, è ancora molto spesso ignorata, trascurata o sottovalutata sia dalla storiografia accademica che dal mondo della divulgazione. È questo uno dei motivi – oltre al valore e all’importanza della storia in sé – che mi ha spinto a studiare la figura e le vicende di re Sigurðr Jórsalafari, “il primo re crociato”, la cui storia dimostra in modo incontrovertibile il livello di integrazione e partecipazione raggiunto dagli scandinavi a pochi decenni di distanza dalla loro conversione al cristianesimo, e quindi dal loro inserimento nella christianitas occidentale.

 

Quale forma di medievalismo credi possa avvicinare di più i giovani, i neofiti, allo studio della vera storia nordica?

È indubbio che, dietro al rinnovato interesse verso il mondo vichingo, vi sia il recente successo di serie-Tv a tema nordico o comunque ispirati a quel mondo, da Vikings a Game of Thrones, per non parlare del ricco e longevo filone di film e lungometraggi di ambientazione nordica o vichinga. Ma un buon modo per avvicinarsi alla storia del Medioevo nordico può ugualmente essere la lettura di narrativa ispirata più o meno esplicitamente a quel mondo, dal Legendarium tolkieniano ai romanzi fantasy o di heroic fantasy, fino ai romanzi storici di una scrittrice come la norvegese Sigrid Undset, vincitrice del premio Nobel per la letteratura nel 1928, le cui opere sono spesso ambientate nel Medioevo nordico (non solo vichingo) e ispirate a personaggi delle saghe norrene. In definitiva, non credo ci sia un’unica via per avvicinarsi allo studio di queste tematiche, l’importante è avere sempre la curiosità e la volontà di andare oltre le apparenze, oltre ciò che ci viene mostrato – spesso in modo stereotipato, inesatto o anacronistico – in film, romanzi e videogames, per rivolgersi invece direttamente alle fonti.

 

Miti da sfatare: ne è pieno lo studio del Medioevo e quello scandinavo non fa certo eccezione, tra vichinghi e shieldmaiden, ma questi non sono certo gli unici. Da giovane studioso, quali fraintendimenti, quali stereotipi insospettabili hai trovato più diffusi tra la tua generazione, anche tra le persone acculturate?

Lo stereotipo più diffuso, e certamente quello più difficile da combattere e da sfatare, è indubbiamente quello dell’analogia tra i termini “vichingo” e “scandinavo”, in altre parole a fare di tutti gli scandinavi dei vichinghi, quando in realtà le fonti su questo sono abbastanza chiare: la parola “vichingo”, con il significato di “pirata” o “predone”, era infatti riferita solo a coloro che intraprendevano questa via, questa carriera potremmo dire. In origine, dunque, esso non aveva alcuna connotazione etnica: indicava semplicemente una professione e una scelta di vita, non un popolo. Un altro stereotipo molto più recente, ma ugualmente ben radicato, è quello che vede gli scandinavi pagani come dei campioni di tolleranza, democraticità e apertura mentale rispetto agli ottusi, bigotti, autoritari retrogradi cristiani: si tratta, a ben vedere, di una ennesima declinazione del ben noto mito del “buon selvaggio”, che dal XVIII secolo in poi (ma in realtà è visibile già in Tacito) proietta sulle civiltà passate desideri, aspirazioni e frustrazioni presenti. Altra convinzione difficile da combattere, anche forse soprattutto in ambito accademico, è poi quella che vuole gli scandinavi come marginali sullo scenario mediterraneo ed europeo, o addirittura arretrati rispetto agli altri popoli, un pregiudizio di cui abbiamo già parlato in precedenza e che spesso, dinanzi a studi e ricerche sulla storia scandinava, fa esclamare con sorpresa: “Ma guarda, non lo avrei mai detto!”

 

Chiudiamo, esattamente come abbiamo iniziato, con una delle domande di rito: hai già qualche nuovo progetto che puoi condividere con noi e i nostri lettori? Magari un nuovo libro in arrivo?

Domanda difficile! Attualmente sono impegnato con diversi progetti e ricerche, che spero possano sfociare in altrettante pubblicazioni nel medio/lungo termine. Proprio perché ritengo che la storia della Scandinavia non si esaurisca con i vichinghi, le mie ricerche si concentrano prevalentemente sul pieno e basso medioevo e sui rapporti tra il mondo nordico e quello euro-mediterraneo. Posso qui anticiparvi, nei prossimi mesi, l’uscita di alcuni articoli dedicati all’arrivo e alla diffusione degli ordini mendicanti (Domenicani e Francescani) nella Norvegia del Duecento, ai rapporti tra il papato, Firenze e la Norvegia al tempo di Dante (sapevate che, nella Divina Commedia, compare un misterioso “re di Norvegia” di cui si sa poco e nulla?), e alla questione del rapporto tra monarchia e Chiesa, tra regnum e sacerdotium nella Norvegia del XII secolo. Le idee, insomma, non mancano!

 

 

Valérie Morisi

 

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Written by : Redazione

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