Il concetto di musica medievale, come sottolineato nel nostro primo articolo, riassume erroneamente tutte le fasi della storia, dell’estetica, del gusto, della teoria e della pratica di un periodo estremamente complesso e vasto, sia dal punto di vista culturale, sia dal punto di vista cronologico. Gli storici della musica, tendono a suddividere, all’interno del periodo medievale stesso, tre fasi principali:
– Ars Antiqua, fino al XIII secolo;
– Ars Nova, in particolare il secolo XIV;
– Ars Subtilior, fine Trecento e prima metà del secolo XV.
Nel presente scritto, cercheremo di riprendere e proseguire il nostro viaggio alla scoperta del repertorio più antico che ancora oggi possiamo studiare, cantare, suonare e apprezzare: la monodia.
Per monodia si intenda il canto a voce sola ovvero, per distinguerlo dalla polifonia, un’unica linea melodica a sola voce o accompagnata da strumenti o formata da più voci all’unisono. Le forme, sia colte sia di tradizione orale, più arcaiche e non, sono di sicuro quelle appartenenti all’universo del canto liturgico. Un esempio evidente è quello del canto Gregoriano, così come dell’antico canto di tradizione ebraica, il canto Ambrosiano, il canto Greco-Bizantino, il canto Aquileiese e Beneventano, Ispano, Gallico, Siriaco-Romano.
La particolare costruzione melodica e il rispetto della sillabazione e degli accenti della parola (dottrina stessa dei canti liturgici come nei casi prima riportati, insieme alla dottrina dei modi) crearono la base culturale e teorico musicale dello sviluppo della musica e del repertorio occidentale. Le innumerevoli forme poetico-musicali, come i tropi, le sequenze, uffici metrici (versificati), drammi liturgici, lauda, il repertorio, arrivati ai giorni nostri, evidenziano una vasta produzione tanto di matrice religiosa quanto di quella profana.
In entrambi gli ambiti, la caratteristica principale dei repertori, soprattutto a partire dal XII secolo, è la funzionalità della musica a servizio della parola, del testo, dunque, della retorica e della grammatica. Il testo è fondamentale, la musica deve comunicare, raccontare e descrivere. Per questo motivo, a partire dalla fine del XII secolo, – attraverso l’esigenza di una scrittura musicale sempre più razionale e ritmica (mensurale) e la necessità di un uso sempre più frequente della lingua volgare – la musica diviene sempre di più un mezzo culturale e sociale fondamentale.
In questa prima “puntata” sulla monodia medievale, tratteremo uno dei manoscritti più famosi del Medioevo italiano: il Laudario di Cortona, manoscritto 91, Biblioteca del Comune e dell’Accademia Etrusca. Però prima di parlavi del manoscritto in se, e di cosa rappresenta per la storia della musica nel Medioevo, occorre una contestualizzazione storica.
Nel periodo in cui l’Italia medievale vive la nascita delle società comunali, si sviluppano le Confraternite laiche d’ambiente interclassista, in particolar modo legate al ceto borghese e dunque alle arti cittadine. Incoraggiate dall’azione di sostegno e controllo degli ordini mendicanti, in particolar modo di estrazione francescana, le Confraternite Duecentesche rivestono grande importanza all’interno della produzione di manoscritti musicali di chiara funzione paraliturgica, testi in lingua volgare che raccontano immagini e simboli della religione Cristiana.
Ogni Confraternita rivestiva l’importante responsabilità di sostegno e aiuto dei poveri oltre a quello di impegnarsi nell’esaltazione del Santo di riferimento o nella continua funzionalità di luoghi di culto.
Il Laudario di Cortona è costituito da 171 pagine in pergamena. Al suo interno troviamo brani monodici che si alternano tematiche paraliturgiche, inerenti alcuni aspetti peculiari come la devozione mariana, la Natività, l’Epifania, la Pasqua, la Pentecoste, riferimenti devozionali ad alcuni Santi, tra i quali figurano san Francesco, Sant’Antonio e Santa Caterina. La stesura prevede, visti i presupposti, Festività Liturgiche e particolari riferimenti devozionali. L’idea che ne emerge risulta quella di un manoscritto di utilizzo, ossia, una collezione di brani e poesie utilizzate realmente durante l’anno. La Confraternita, attraverso l’uso della lingua volgare duecentesca, dispose alla possibilità di partecipazione extra ecclesiastica alla devozione popolare dei temi liturgici più importanti all’interno del calendario liturgico stesso.
La lauda, in sintesi, è riassumibile in una forma di testo devozionale da cantarsi su melodie monodiche – che nei secoli si svilupperanno anche nella scrittura polifonica – sorte proprio a partire dal XIII secolo. Alcune fonti testimoniano la possibilità che le voci potessero essere sostenute da strumenti musicali, di sicuro, ad oggi, possiamo confermare il fondamentale utilizzo vocale.
L’estetica, la ricerca, la divulgazione di repertori inerenti la lauda in lingua volgare duecentesca, ricopre ancora oggi un grande interesse sia musicologico sia storico-sociale, condizioni singolari che raccontano con caparbietà una rivoluzione culturale musicale che del Medioevo è fondamento. Anche per questo motivo, le laudi di Cortona, risultano tutt’ora uno dei repertori più suonati e conosciuti della musica occidentale, tanto nel mondo accademico quanto tra gli appassionati del repertorio antico.
Accademia Resonars x Medievaleggiando
Per approfondire:
CATTIN GIULIO, La Monodia nel Medioevo, Ed. EDT, Torino 1991.
MILA MASSIMO, Breve storia della musica , Einaudi, Torino 1963
REESE GUSTAV, La Musica nel Medioevo, Rusconi ed., Milano 1990
SURIAN ELVIDIO, Manuale di storia della musica, Rugginenti (nuova ristampa)
Ascolti:
• Armoniosoincanto (vocal ensmemble), Franco Racicchia (conductor), Anonima Frottolisti (vocal ensemble) https://www.youtube.com/watch?v=8B92GAf710U
• Sia laudato San Francesco • Anonima Frottolisti Gloriosus Franciscus: The Music for St. Francis from the 13th to the 16th Century ℗ 2018 Tactus https://www.youtube.com/watch?v=kZpco61nOok