Oggi abbiamo il piacere di essere in compagnia dei nostri amici Riccardo Facchini e Davide Iacono che insieme hanno dato vita alla pagina “MediaEvi”. Il progetto, che nasce nel 2015, ha aiutato a far conoscere il Medioevo e il medievalismo al grande pubblico e oggi scopriremo insieme il “dietro le quinte” dalla nascita agli obiettivi futuri. Riccardo Facchini è un ricercatore indipendente, nel 2014 consegue un dottorato in Storia Medievale presso l’Università Europea di Roma, nel 2018 cura insieme al Prof. Tommaso di Carpegna il volume “Medievalismi Italiani” edito dalla Gangemi, dal 2019 collabora con la rivista “Medioevo. Un Passato da Riscoprire” e scrive per diverse riviste specializzate. Davide Iacono, anche lui ricercatore indipendente e social media specialist, ha scritto diversi saggi, compreso quello presente in “Medievalismi Italiani”, dal 2019 collabora con la rivista “Medioevo. Un Passato da Riscoprire” e scrive per diverse riviste specializzate. Entrambi sono ospiti fissi della convention “Il Medioevo fra noi” e del Festival del Medioevo con il panel sul medievalismo. Fanno anche parte del Medievalismo. Centro Studi Ricerche dell’ISIME.

 

  1. Buongiorno ragazzi, è un piacere ritrovarci qui tutti insieme. Oggi con voi tratteremo un argomento particolare e quanto mai attuale: il Medioevo e i social, partendo proprio dalla vostra pagina “MediaEvi. Il Medioevo al presente”. Nell’arco degli ultimi anni, ha attirato l’attenzione di moltissime persone arrivando ad essere seguita da più di 50mila utenti, un importante traguardo per quanto riguarda la divulgazione storica. Come nasce l’idea di “MediaEvi”?

DAVIDE:

MediaEvi nasce nel 2015 dalla volontà di divulgare lo studio e l’interesse in particolare per il medievalismo attraverso i social.

Nel 2011 il prof. Tommaso di Carpegna Falconieri aveva pubblicato il suo libro, ormai divenuto un classico, Medioevo Militante, e questo concetto, il medievalismo – nuovo ma allo stesso tempo sotto il naso di tutti noi sin da quando siamo bambini – ci aveva subito affascinato. A ciò si aggiunga che in quegli anni Facebook aveva visto la creazione di moltissimi meme a tema medievale e che Feudalesimo e Libertà muoveva i suoi primi passi: diciamo che la nascita di MediaEvi può inserirsi in quel connubio di medioevo e social tipico che ha animato, a vario titolo, quegli anni. Nel corso del tempo poi altre pagine di divulgazione storica sono nate: alcune ci hanno anche scritto dicendoci che MediaEvi era stata per loro una fonte di ispirazione… piccole soddisfazioni.

Quello di MediaEvi è anche un modo per raccontare la medievistica e occupare in maniera intelligente, seria (non seriosa!) a tratti divertente, lo spazio social.

La comunicazione di una disciplina passa ormai anche dalle nuove forme del digitale: è un dato oggi abbastanza consolidato ma sei anni fa l’idea che fosse possibile veicolare anche attraverso i meme o Facebook la storia medievale era una novità; oggi è prassi in uso dalla politica al marketing fino ai settori della cultura e dell’apprendimento. Voglio fare un solo esempio: se guardiamo la pagina Facebook dell’autorevolissima Treccani (che potremmo immaginare molto istituzionale) fa un uso sistematico di meme di altissimo livello, molto raffinati direi, riscontrando un enorme successo. È come la nonna che balla Billie Eilish…

 

  1. Qual è lo scopo che vi prefissate di raggiungere con questo progetto? E perché è importante sfruttare le potenzialità che i social media offrono per comunicare la storia?

RICCARDO: Agli inizi, si può dire che l’unico scopo fosse unicamente quello di far conoscere a un pubblico molto ristretto, composto principalmente da amici e colleghi, l’oggetto delle nostre ricerche.

Pensavamo, e pensiamo tutt’ora, che il medievalismo, come disciplina, possa trovare nella comunicazione social uno dei mezzi privilegiati per raggiungere un pubblico, fatto anche di specialisti,

che in quegli anni mostrava una certa ritrosia nei confronti di ciò che chiamiamo il “Medioevo al Presente”. Oggi, in parte anche grazie al nostro piccolo contributo, il medievalismo e il suo studio è invece stato piuttosto sdoganato. Ovviamente, non possiamo negare che, col passare del tempo, abbiamo imparato anche a “divertirci” molto grazie alla nostra pagina: la creazione di meme, alcuni diventati virali all’interno della social bubble composta da appassionati di storia medievale, la collaborazione con altre pagine e la partecipazione a eventi divulgativi ci hanno fatto realizzare l’enorme potenzialità che i social hanno nel comunicare la storia e di fare rete.

Col tempo, abbiamo anche capito che la crescita della nostra realtà portava però con sé anche una sfida: comunicare, semplificare e intrattenere, senza mai banalizzare. Speriamo di esserci riusciti!

 

  1. Il medievalismo è un campo di studi che deve ancora farsi strada tra le cattedre accademiche ma, per fortuna, la situazione sta cambiando e sta attirando sempre di più l’attenzione. Perché, quindi, è importante e perché è necessario studiarlo al giorno d’oggi? E come è nato il vostro interesse per questo campo?

DAVIDE: Lo studio dei medievalismi credo sia un po’ l’elefante nella stanza della medievistica perché ci dice: signore e signori, la storia è qualcosa che lo storico filtra sempre attraverso la sua esperienza, il suo vissuto, la sua dimensione individuale e la coscienza storica del suo presente. È quello che  riguardo alla medievistica spiegò Norman Cantor nel suo Inventig the Middle Ages, un libro all’epoca accolto dal mondo accademico tra vivaci polemiche ma che oggi appare quanto mai fondamentale. Questo però non vuol dire derogare al metodo storico o derubricare la storia a mero racconto: il “fatto” esiste; come le testimonianze che ci arrivano direttamente dai secoli medievali sono una cosa reale.

Scrivere di storia significa però sempre e comunque, e innanzitutto, “raccontare” una storia tra le numerose storie, la cui retorica narrativa proietta mentalità, cultura, sensibilità dello storico. La storia è il tentativo, spesso sempre più impervio, di sistematizzare una porzione di passato. È un gesto parziale.

Esisterà in questo senso il san Francesco di Sabatier, di Fortini, di Manselli, di Merlo, di Le Goff, di Vauchez, di Cardini, ecc.

Pensare di presentare le cose “tali quali esse sono avvenute” è un’assurdità, un feticismo positivista.

Fare storia significa avere la consapevolezza di creare un prodotto culturale, attraverso il quale lo storico scopre il passato e lo ricrea, lo recupera per riconsegnarlo al suo presente.

Detto questo, si comprende come lo studio dei medievalismi offre uno sguardo fortemente critico – fortemente consapevole – sulla stessa medievistica e la disciplina storica in generale (penso sia questo il dato di cui ho più fatto tesoro degli studi sul medievalismo). È in estrema sintesi, questa dei medievalismi, una riflessione sul senso della storia. Fare storia oggi, credo, non vuol dire solo ricostruire il passato, cercando una verità storica spesso sfuggente; il suo valore, quello che forse più ci riguarda, è quello di intendere la storia come uno strumento euristico che ci consente di interpretare il mondo contemporaneo e distinguere quanto più possibile, e tra tanti limiti, il vero dal falso, il reale dai suoi simulacri. È questa mi pare una delle lezioni che emerge dall’ultimo libro di Di Carpegna, (Nel labirinto del passato. 10 modi di riscrivere la storia).

E dopo tutto se la storia non dialogasse, in questa sorta di ping pong col presente, che valore avrebbe? In particolare, poi, lo studio dei medievalismi consente allo storico medievista di riscoprire un ruolo di responsabilità nella società civile.

Quando l’ISIS parla di ritorno del Califfato; quando i presidenti degli States evocano le crociate; o – come soprattutto nell’Europa dell’Est – vengono rispolverati i modelli e i miti del medievalismo ottocentesco per sostenere spinte nazionaliste; lì lo studioso di storia medievale, che si colloca tra la realtà del passato medievale e queste attualizzazioni operate dal presente, può dare un serio e autorevole contributo nel decifrare l’attualità. Si pensa spesso alla medievistica come ad una materia erudita, polverosa, fatta da studiosi chiusi in torri di avorio dediti al solo studio di codici indecifrabili. Il rischio però, che vedo tutt’ora diffuso anche tra i più giovani studiosi, è sacrificare la storia, magari inconsapevolmente, sugli altari dell’erudizione, dell’antiquariato, del filologismo, del passatismo. Lo studio dei medievalismi invece riesce a riconciliare il passato al presente, e a fare del medievista quello che definiremmo un public historian; ossia di una figura capace di decifrare, intercettare e mobilitare l’interesse della storia e del passato per il pubblico. Si tratta quindi di un ambito che si presta molto alla creazione di nuove professionalità nel settore storico-culturale.

 

  1. Come ci hanno spiegato il Prof. di Carpegna e la Prof.ssa Roversi Monaco, il medievalismo è un fenomeno che dovrebbe essere studiato in modo interdisciplinare, avendo però delle buone basi alle spalle. Voi, per esempio, partite da un background di studi medievistici, quanto vi hanno aiuto nell’approccio e nell’approfondimento di questa materia?

DAVIDE: Dal mio punto di vista credo sia fondamentale: il medievista si colloca a metà strada tra il suo passato e il suo presente. Senza lo studio del medioevo storico risulterebbe difficile orientarsi all’interno della foresta del medievalismo. Si correrebbe il rischio di restare ingannati… come per l’incisione del rinoceronte di Dürer, che, sebbene diverso da un rinoceronte reale, infatti, dominò l’immaginario collettivo e artistico per milioni di europei per secoli (come ci spiega Umberto Eco nel Trattato di semiotica generale). In questo senso studiare la storia medievale ci consente di poter distinguere tra rappresentazione iconico-simbolica e realtà fattuale; quindi tra medioevo storico e medievalismo.

È bene però non tracciare confini troppo netti tra i due concetti (medievalismo e storia medievale) perché è proprio da quel recupero del sogno romantico per il medioevo che si gettarono le basi dell’odierna medievistica. Chateaubriand, Scott, Ruskin, Morris, Le Duc, Carducci e molti altri non sono nient’altro che dei pionieri della medievistica. Il loro medioevo non va etichettato o liquidato dunque come “falso” ma compreso e ri-letto in una nuova luce. E dirò di più, forse qualcosa che suonerà strano forse, anche il medioevo dei suoi più accaniti detrattori illuministi è un importante tassello per comprendere questo grande racconto (fatto a più voci e a vari livelli) di un’epoca: forse che l’Histoire des croisades di Voltaire, o la voce Croisades compilata da Diderot per l’Encyclopédie – pur considerando i limiti del caso – non siano da considerarsi storiografia?

 

  1. Prima di essere degli esperti medievalismo, siete ricercatori medievisti. Toglieteci una curiosità, com’è nata la vostra passione per il Medioevo?

DAVIDE: Come credo accada per molti, la nostra conoscenza del medioevo è prima di tutto una conoscenza infantile, fatta per stereotipi, che avviene per tramite di prodotti che definiremmo medievalisti. Io ad esempio iniziai a leggere adattamenti per ragazzi del ciclo arturiano; adoravo (come ancora oggi) le illustrazioni di cavalieri, le armature, le battaglie, i castelli. Ricordo, tra le tante cose ad esempio un cartone animato, Prince Valiant (un adattamento del fumetto di Harold Foster che davano su Italia 1 in estate) che mi restò impresso. Oppure l’attrazione per film abbastanza crudi ma decisamente suggestivi come Il nome della rosa, Excalibur o Braveheart. Se non sbaglio invece il primo libro di medievistica che lessi fu L’uomo medievale di Le Goff: ricordo mi servì molto per il tema della maturità quando uscì la traccia sulle radici cristiane dell’Europa, un argomento che all’epoca ebbe molta risonanza.

RICCARDO: Anche nel mio caso, fu un avvicinamento dettato dall’esposizione a un immaginario proveniente soprattutto dalla letteratura fantasy e dalla cultura pop.

A 15 anni ebbi l’occasione di leggere il Signore degli Anelli, l’anno successivo iniziai a giocare a Dungeons & Dragons insieme ad alcuni compagni di classe… insomma, la strada era tracciata! Anche se, devo ammettere, la passione per il “vero” Medioevo arrivò dopo, al momento della scelta della facoltà a cui iscrivermi dopo la maturità. Avevo sviluppato, durante il liceo, un forte interesse per la storia moderna e contemporanea, e pensavo che il Medioevo sarebbe rimasto solo un hobby, una passione. Dopo il primo esame di storia medievale, però, fu amore a prima vista.

 

  1. Sempre riguardo agli studi accademici, in che cosa vi siete specializzati e quali sono gli argomenti che avreste piacere ad approfondire in futuro?

DAVIDE: Inizialmente verso la storia militare: la mia tesi triennale discussa con la prof.ssa Giulia Barone verteva sulla rivoluzione militare della Guerra dei Cent’anni (è un argomento che tutt’ora mi interessa approfondire). La tesi di magistrale (credo pionieristica per un dipartimento di solidissima tradizione medievistica come quello della Sapienza) con i prof. Umberto Longo e Tommaso di Carpegna come relatori fu invece di argomento medievalista. Si trattava di uno studio sulle fonti medievali dietro il mosaico l’Albero della Vita del pittore preraffaellita Edward Burne Jones: Sapete che nel centro di Roma, in via Nazionale, c’è quello che potremmo chiamare un Yggdrasil? Non dico altro, vi invito ad indagare… Ho poi esplorato il fenomeno del condottierismo fascista, il rapporto tra cinema di regime e medievalismo, la particolare dimensione neocrociata dell’occupazione coloniale italiana di Rodi. In collaborazione con Riccardo, invece mi sono occupato di medioevo in chiave pop: recente è la pubblicazione di un articolo per la rivista Memoria e Ricerca «You’re in the North. The real North». Medievalismo e idea di Nord nella serialità televisiva. In più per MedioEvo Rivista ricordo una serie di corposi articoli sul medievalismo. In futuro? La storiografia con i suoi riflessi nel medievalismo mi sta interessando molto, come anche l’uso del medioevo nella comunicazione politica contemporanea.

 

RICCARDO: Il mio ambito principale di ricerca, che ho affrontato sia con la stesura della tesi magistrale, sia durante gli anni di dottorato, consiste nell’analisi dei rapporti diplomatici tra Venezia e il mondo musulmano tra XIV e XV secolo, letti soprattutto attraverso le trattative per il riscatto dei captivi – cioè dei prigionieri – cristiani in terra islamica. A ciò ho affiancato – come penso si sia capito! – lo studio del medievalismo politico e religioso, senza però disdegnare anche quello più pop e mediatico, letto sempre nel suo continuo dialogo con la società e con i trend storiografici passati e contemporanei. A tal proposito, mi piacerebbe lavorare – appena pubblicata la mia tesi di dottorato – a una monografia che approfondisca proprio i rapporti tra medioevo pop e storiografia.

 

  1. Anche nel campo del medievalismo, ognuno di voi ha scelto un argomento preciso da approfondire.

– Riccardo, possiamo dire che hai studiato molto da vicino il “Medioevo pop” e le sue declinazioni. Perché questo tema? Cosa ti affascina?

Come ho avuto modo di accennare in precedenza, ciò che mi affascina sono in particolare quelli che chiamo “motivi di circolarità tra mito e storiografia”. Sono un gran consumatore di prodotti audiovisivi di argomento medievale e fantasy e – col tempo – mi sono sempre più reso conto che molti di questi, anche quelli più apparentemente disimpegnati e “leggeri”, contengono spesso dei riflessi, anche solo sbiaditi, di dibattiti storiografici che invece coinvolgono da anni il mondo della ricerca. Ecco, questa permeabilità tra mondi così apparentemente lontani penso meriti di essere indagata, anche al fine di guardare al medievalismo come a una forma di “storia della storiografia allargata”.

 

Davide, tu invece hai scelto di analizzare l’influenza dell’immaginario medievale sotto il regime fascista. Come mai la scelta di un tema così particolare?

È arcinoto che il regime fascista fece dell’uso e del recupero del mito di Roma antica e della romanità uno dei suoi tratti più distinguibili. Il tema del rapporto tra fascismo (e più ampiamente Ventennio) e medievalismo è stato invece studiato in maniera poco organica. Alcuni studi come quelli di Stefano Cavazza (Piccole Patrie) e di Roberto Rusconi con Tommaso Caliò (San Francesco d’ltalia) o a quello della studiosa americana Medina Lasansky (The Renaissance Perfected: Architecture, Spectacle, and Tourism in Fascist Italy), ottimi punti di partenza, offrono però una portata limitata del fenomeno. Si tratta a bene guardare di un oggetto di ricerca molto fecondo che consente di spaziare dalla storiografia medievistica, alla storia contemporanea, all’architettura, al cinema, alla religione. Anche qui l’interdisciplinarietà è fondamentale. In più si potrebbe allargare l’orizzonte d’indagine all’esperienza coloniale, o, attraverso un approccio comparativista, analizzare il fenomeno della ricezione del medioevo nei coevi regimi totalitari. Alcuni di questi argomenti li ho trattati come detto sopra, senza tuttavia farli convergere in uno studio complessivo (che meriterebbe). Qualcosa però sta cambiando rispetto a questo tema. L’8 e il 9 giugno si terrà infatti (via telematica) la conferenza internazionale “Il medioevo e l’Italia fascista: al di là della “romanità” frutto di una cooperazione tra il Dipartimento di storia dell’Università di Graz, l’Istituto Storico Germanico di Roma (DHI) e L’Istituto Storico Austriaco di Roma (ÖHI). È un segnale non da poco per questi argomenti.

 

  1. Prossimi impegni? In quali occasioni vi rincontreremo?

DAVIDE: Abbiamo da qualche settimana dato il via al podcast di MediaEvi in cui trattare argomenti di storia medievale in modo ­– ma molto! – informale, quasi sotto forma di chiacchierata, intervistando in ogni puntata un ospite diverso. Dal docente al fumettista allo psicologo ci piacerebbe capire e discutere, con quel tocco di leggerezza (non superficialità) che ci contraddistingue, di medievistica, immaginari medievali e medioevo pop.

A giugno con Riccardo saremo relatori del già citato convegno “Il medioevo e l’Italia fascista” con interventi rispettivamente dedicati al condottierismo mussoliniano e al tradizionalismo cattolico post-conciliare.

È poi in cantiere un numero monografico (l’uscita è prevista per l’estate) della storica rivista di cinema Bianco e Nero, del Centro Sperimentale di Cinematografia, dedicato al rapporto tra cinematografia e medievalismo. È a cura del sottoscritto e di Riccardo, con postfazione di Franco Cardini. I contributi raccolti sono non soltanto di medievisti (molti dei docenti che voi di Medievaleggiando avete avuto il piacere di intervistare sono presenti) ma anche di altri studiosi esperti del campo dei media. Si spazierà da Tolkien ai vichinghi, dai viaggi nel tempo al medioevo post-apocalittico, dagli adattamenti del ciclo bretone ai cavalieri afroamericani. Vi terremo aggiornati, promesso!

 

Ringraziamo Riccardo e Davide per questa bella chiacchierata e speriamo di ritrovarli presto in altre occasioni medievaleggianti.

 

Martina Corona, Giulia Panzanelli

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Written by : Redazione

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