Alla viglia della migrazione longobarda, che portò all’occupazione di gran parte della penisola, l’Italia era stata dilaniata dalla guerra greco-gotica (535-553), combattuta tra il regno ostrogoto e l’impero bizantino di Giustiniano. Il risultato finale sarà sì la sottomissione della penisola ai bizantini, ma ad un costo sociale ed economico altissimo.
I Longobardi in Italia
I Longobardi, al seguito di una migrazione guidata dal loro re (rex) Alboino, attraversarono le Alpi Giulie nel 569, dopo essere stati quarant’anni in Pannonia. Alcuni contingenti avevano già marciato sul suolo della penisola, collaborando con i Bizantini durante gli anni, difficili, della guerra greco-gotica.
La conquista andò avanti per qualche decennio, per poi arrestarsi agli inizi del VII secolo. L’Italia si presenta quindi frammentata, con i Longobardi che avevano istituito Pavia come loro capitale, mentre nel centro-sud c’erano i ducati longobardi di Spoleto e di Benevento con una larga autonomia, separate dal resto del regnum langobardorum dal cosiddetto corridoio del Tevere. Questa fascia di terra metteva in comunicazione Roma con Ravenna, capitale dell’esarcato bizantino. Questi ultimi inoltre, tenevano la Liguria, la Sardegna, la Sicilia, Napoli e la Puglia.
Le fonti a nostra disposizione non sono molte: infatti ci dobbiamo rifare alle poche decine di documenti pubblici e privati, ma soprattutto all’Historia Langobardorum, scritta nell’VIII secolo da Paolo Diacono.
Secondo le attuali correnti storiografiche i Longobardi, come le altre popolazioni migranti, non erano un’entità etnico-biologica, ma culturale. Erano membri di una gens, di un popolo, ovvero di una moltitudine di individui che crede di far parte di un gruppo, con proprie usanze. Gli anni di formazione di questa gens si perdono nella preistoria, fatti narrati dall’Origo Gentes Langobardorm.
Nel VII secolo il regno fu rafforzato: il 643 è l’anno dell’Editto di Rotari, e venne realizzata la prima codificazione scritta in latino mentre nel 653 venne abolito l’arianesimo (non perdetevi il nostro approfondimento sul diritto delle donne). Nell’VIII secolo invece, dobbiamo ricordare il 728, anno della Donazione di Sutri, ma questo evento è stato troppo enfatizzato da una certa storiografia, che lo poneva come all’origine della nascita del Patrimonium Sancti Petri, il futuro stato della Chiesa; invece siamo di fronte ad una delle tante vicende che riguardarono il ducato romano. Inoltre il re Liutprando (712-744) compì delle importanti conquiste ai danni dei Bizantini, fino ad inglobare l’esarcato.
Per quanto riguarda il rapporto tra il papato ed il regno longobardo, che erano di fede ariana, inizialmente si trovò, sotto la direzione della regina Teodolinda una tendenza all’accomodamento tra le diverse sfaccettature del cristianesimo espresse. Nell’VIII secolo i papi di Roma attuarono una svolta: timorosi di essere sopraffatti dal dominio longobardo, si allearono con la dinastia dei Pipinidi (i Carolingi) che nel 751 avevano de iure, preso il potere, rovesciando la dinastia merovingia.
Ed i Bizantini? Ai Bizantini rimase veramente poco, sopratutto alcune porzioni dell’Italia del sud, in Puglia e Calabria, oltre che la Sicilia. L’esarcato di Ravenna era stato conquistato dai Longobardi nel 751 e papa Stefano II, predecessore di Paolo I, intimorito dalla forza di questo popolo, chiese l’intervento dei Franchi. Questi, guidati da Pipino il Breve, il padre di Carlo Magno, riconquistarono porzioni dell’Italia del nord, consegnandole al papato, con una serie di donazioni.
Un ventennio dopo, Desiderio, l’ultimo sovrano Longobardo, fu detronizzato con un colpo di stato organizzato dal papato e dai Franchi carolingi: papa Adriano I chiamò in aiuto Carlo Magno, che scese in Italia fra il 773 ed il 774 e sconfisse i Longobardi sul fiume Livenza; dopo aver conquistato Pavia, il Regnum Langobardorum venne annesso ai domini carolingi.
I Carolingi in Italia
Al seguito della conquista carolingia, solamente il ducato di Benevento rimase in mano longobarda. Questo periodo è contrassegnato da profondi cambiamenti, come la sostituzione della classe dominante longobarda e l’importazione del sistema curtense in gran parte della penisola.
La città di Roma era soggetta ad aspre lotte tra fazioni aristocratiche. Papa Leone III riuscì a fuggire a Padeborn, dove si trovava Carlo Magno. Pochi mesi dopo, al rientro del papa, Carlo fu incoronato imperatore: le fonti vicine al sovrano sostengono che Carlo subì questa scelta, mentre altre voci raccontano il contrario. Ovviamente si trattò di un progetto realizzato di comune accordo. Nella celeberrima notte di Natale dell’800 Carlo Magno venne incoronato imperatore a Roma. In questo modo veniva riconosciuto il ruolo di Carlo come unificatore di regni differenti. Il papato da tempo aveva spostato il proprio asse politico e ideologico verso l’impero carolingio per rendersi indipendente da quello bizantino, in quel momento dilaniato dalla lotta iconoclasta.
Dopo Carlo Magno, il potere dei Carolingi in Italia si avvicenderà con differenti figure: Pipino, Bernardo, Lotario I, Ludovico II, Carlo il Calvo, Carlomanno e Carlo il Grosso, ultimo sovrano carolingio a governare, unitariamente, l’impero di Carlo Magno; Carlo il Grosso però, venne deposto nell’888 dal duca di Parigi Oddone.
Il regno italico
Il regno italico mantenne, grossomodo, la stessa estensione geografica di quello Langobardorum, mentre l’Italia del centro-sud si trovava sotto poteri differenti: quello bizantino, quello arabo in Sicilia e quello longobardo del principato di Benevento.
La guida del regno italico, che si sviluppava grosso modo nel centro-nord della penisola, venne contesa, in assenza di una dinastia regnante, da quattro grandi famiglie aristocratiche: i duchi e i marchesi di Spoleto, di Toscana, di Ivrea e del Friuli. Costoro erano riusciti a dinastizzare le cariche pubbliche dal regno carolingio, creando una loro base clientelare, di impianto “regionale”. La storiografia di stampo ottocentesco considerò questi sovrani come re nazionali o re italici.
Queste famiglie coinvolsero, nelle loro lotte, i vicini duchi di Carinzia ed i re di Borgogna e Provenza. Per alcuni anni, dall’888 al 924, si scontrarono il marchese del Friuli Berengario I d’Ivrea e gli Spoletini e, per risolvere lo stallo, fu chiamato Rodolfo di Borgogna, che regnò dal 924 al 926, mentre successivamente Ugo di Provenza mantenne il potere fino al 946. Una volta ritiratosi dalle scene, Ugo passò il potere nelle mani del figlio Lotario, della dinastia dei bosonidi, che però morì nel 950. Il titolo regio passò quindi ai marchesi di Ivrea sotto Berengario II, che sposò forzatamente Adelaide, vedova di Lotario. È qui che interviene Adalberto Atto, capostipite della dinastia dei Canossa, che liberò la donna e sollecitò l’intervento del re dei Franchi Orientali Ottone I: da quel momento il regno italico ritornò sotto l’ala protettrice di una dinastia d’oltralpe.
La dinastia ottoniana
La dinastia ottoniana era la dinastia regnante del regno dei Franchi Orientali: l’impero carolingio, dopo la morte del figlio di Carlo Magno Ludovico il Pio, era stato diviso in tre parti: il regno dei Franchi Occidentali, quello dei Franchi Orientali ed una striscia mediana comprendente l’Italia, la Lotaringia, con funzione di cuscinetto tra i due regni esterni. La dignità imperiale invece, ricadeva sul sovrano di Lotaringia, Lotario I.
Ottone I, re dei Franchi Orientali, prese il potere nel 936, chiamato da Adalberto Atto per dirimere le contese nella penisola, e lo detenne fino al 963. Una volta giunto in Italia, riuscì a cacciare Berengario II e a sposare Adelaide, quale fonte di legittimazione del suo stesso potere. Nel 961 al seguito di un’altra spedizione, tornò in Italia e conquistò il regno italico, mentre nel 962 ottenne il titolo imperiale.
Per quanto riguarda il rapporto tra gli Ottoni e il papato, di fondamentale importanza è il Privilegium Othonis, con il quale il sovrano d’oltralpe riconosceva i diritti e i privilegi della Chiesa romana.
Ad Ottone I seguirono Ottone II e III: il primo di questi successori desiderava annettere tutta la penisola italiana al proprio regno, progetto già tentato dal padre, e tentò di realizzare questa sua ambizione sposando Teofano, nipote dell’Imperatore bizantino Giovanni Zimisce. Tale politica matrimoniale però si rivelò fallimentare, e il Sud Italia non fu mai annesso al regno degli Ottoni.
Ottone III successe al padre nel 983, dopo la prematura dipartita del padre. Essendo troppo piccolo per governare si creò una rete di maggiorenti del regno, diretta dalla madre Teofano e dalla nonna Adelaide. Nel 996, una volta compiuti i sedici anni, il giovane sovrano poté concretamente salire al potere.
Il suo governo fu tutto incentrato sul conciliare le due istituzioni universali del mondo medievale, l’impero e la Chiesa, attuando una notevole politica conciliatoria con papa Silvestro II, suo precettore. Ottone III non tenne conto però della conflittualità dei poteri locali, tanto che fu costretto a ritirarsi dalla penisola a seguito di sommosse aristocratiche delle fazioni della città, nel 1002, lasciò questo mondo. Con questo ultimo sovrano si estinse la linea diretta della dinastia degli Ottoni e, con essa, vennero seppelliti i sogni della Renovatio Imperii di Ottone III.
Andrea Feliziani
Per approfondire:
ALBERTONI GIUSEPPE, L’Italia carolingia, Carocci Editore, Roma 1997.
CAMMAROSANO PAOLO, Nobili e re. L’Italia politica nell’Alto Medioevo, Laterza, Roma-Bari 1998.
FUMAGALLI VITO, Il regno italico, collana Storia d’Italia diretta da G. Galasso, vol. 2, Utet, Torino 1978.
KELLER HAGEN, Gli Ottoni. Una dinastia imperiale tra Europa e Italia (secc. X e XII), Carocci Editore, Roma 2015.
SERGI GIUSEPPE, I confini del potere. Marche e signorie fra due regni medievali, Einaudi, Torino 1995.