L’espansione mediterranea della Corona d’Aragona e l’istituzione del Regno di Sardegna
Alla fine del Duecento, nella lotta per il predominio del Mediterraneo occidentale, alle repubbliche marinare di Pisa e Genova, che si contendevano la Sardegna e la Corsica, si era aggiunta la Corona d’Aragona, in fase di forte espansione politica ed economico-commerciale. La Corona comprendeva il regno d’Aragona, il principato di Catalogna, il regno di Valencia, le Baleari, la Sicilia e i territori greci del ducato di Neopatria. La conquista della Sardegna e, in seguito, dell’Italia meridionale, sarebbe stata una conseguenza di quest’inarrestabile espansione marittima: prendeva forma la ‘diagonale delle isole’ (ruta de las islas) e quello che lo storico Mario del Treppo ha denominato commonwealth catalano-aragonese.
La contesa coinvolgeva anche il papato, che sin dall’XI sec. rivendicava il dominio eminente sulle tre grandi isole tirreniche, ormai d’altro canto sottratte alla sua formale autorità. Nondimeno, proprio per iniziativa pontificia, la Sardegna, istituzionalmente configurata come regno, sarebbe stata posta, per ben quattro secoli, all’interno della compagine statuale della Corona d’Aragona (1324-1516) e della Corona di Spagna (1516-1720).
Nel 1297 il pontefice Bonifacio VIII, al fine di risolvere per via diplomatica la Guerra del Vespro, scoppiata nel 1282 fra Angioini e Aragonesi per il possesso della Sicilia, istituì infatti il Regnum Sardinie et Corsice, infeudato al sovrano Giacomo II d’Aragona, dietro giuramento di fedeltà e pagamento di un censo feudale. Si trattava di un atto puramente nominale, in quanto le due isole avevano già una propria conformazione politico-istituzionale, in Sardegna esplicantesi nei possedimenti oltremarini del Comune di Pisa (i territori degli ex giudicati di Càlari e Gallura); nelle signorie territoriali dei Doria, Malaspina e Donoratico; nel Giudicato d’Arborea. Il pontefice conferiva dunque al sovrano aragonese una licentia invadendi, necessitante di un’azione diplomatica e militare per rendere effettiva la sovranità della Corona su quei territori. La Corsica invece, sotto dominio ligure, non venne mai conquistata e sarebbe rimasta sotto il controllo del Comune di Genova e del Banco di San Giorgio sino al 1769.
La conquista della Sardegna
Giacomo II avviò la conquista della Sardegna solo ventisei anni dopo l’investitura del regno. La campagna militare fu preceduta da lunghe strategie diplomatiche coi giudici d’Arborea, i Doria e i Malaspina, che, in funzione anti-pisana, diedero il loro appoggio ai sovrani aragonesi, instaurando con essi un rapporto di dipendenza feudale. La spedizione catalano-aragonese per l’occupazione dei territori pisani trovava inoltre un forte consenso nella società e nella Chiesa sarda.
Le operazioni militari iniziarono nel giugno del 1323, con lo sbarco di un potente esercito, al comando dell’erede al trono d’Aragona, l’infante Alfonso, presso il golfo di Palma di Sulci, e si sarebbero concluse dopo tre anni. Pisa avrebbe perduto tutti i possedimenti in Sardegna, comprese le due città fortificate di Villa di Chiesa (Iglesias), occupata dopo un lungo assedio, e Castel di Castro (Cagliari). Quest’ultima, consegnatasi ai catalano-aragonesi nel giugno del 1324, rimase in mano pisana sino al giugno del 1326, quando fu ripopolata da genti iberiche e ridenominata Castel de Càller. Nel 1327 fu estesa alla città la legislazione privilegiata della quale godeva Barcellona. Passarono poi sotto il controllo della Corona anche le curatorìe pisane di Gippi e Trexenta e la città di Sassari, sino ad allora comune ‘pazionato’ sotto l’influenza genovese.
Una difficile convivenza
Le ostilità fra la Corona d’Aragona, Genova e il Giudicato d’Arborea non tardarono a manifestarsi. Già dal 1330 Genova fomentò una serie di ribellioni a Sassari e presso i territori dei Doria e dei Malaspina. Venuta meno Pisa, il conflitto fra genovesi e catalano-aragonesi per il predominio tirrenico avrebbe avuto forti ripercussioni su quest’area del Mediterraneo, con continue azioni di guerra di corsa e pirateria e difficoltà nella navigazione e nelle attività mercantili. Sotto il regno di Pietro IV il Cerimonioso (1336-1387) le ostilità fra la Corona d’Aragona – in alleanza con Venezia – e Genova si spinsero sino al Mediterraneo orientale, con la rovinosa sconfitta genovese presso battaglia navale del Bosforo (1352), successo rinnovato l’anno seguente in Sardegna, presso la baia di Porto Conte, al largo di Alghero.
Nell’isola, intanto, la Corona d’Aragona attuò una politica accentratrice che ne mutò radicalmente la struttura politica e amministrativa. In Sardegna fu infatti introdotto l’ordinamento feudale, certamente adatto al mantenimento dei territori conquistati ma presto sfuggito al controllo del potere regio, generando nella popolazione un profondo malcontento che, di lì a poco, avrebbe portato alla rottura dei delicati equilibri politici messi in atto all’indomani della conquista. Del disagio legato al malgoverno degli ufficiali regi e all’assenteismo dei feudatari di origine iberica (Catalani, Valenzani, Maiorchini e Aragonesi) si sarebbero fatti interpreti i giudici d’Arborea.
In particolare, Mariano IV d’Arborea (1347-1375) andò progressivamente affermando una posizione di autonomia politica e istituzionale del giudicato, nonostante i vincoli di vassallaggio che lo legavano personalmente alla Corona d’Aragona. Nel 1339 il giovane Mariano, da principe giudicale (donnikellu), era stato infatti nominato conte del Goceano e della Marmilla, ove avrebbe portato avanti opere di ripopolamento e riorganizzazione fondiaria, fondando il centro di Burgos, ai piedi del castello che tutt’oggi domina la valle del Tirso.
Nonostante i tentativi di mediazione dell’ammiraglio catalano Bernardo de Cabrera all’indomani della battaglia di Porto Conte (1353), le tensioni fra Mariano IV e Pietro il Cerimonioso, abilmente alimentate dai Genovesi, sarebbero sfociate in aperto conflitto. Alghero, fondata dai Doria e passata sotto il controllo aragonese, aprì infatti le porte alle truppe di Mariano IV e Matteo Doria. Nel 1354, dopo lo sbarco di una flotta catalano-aragonese comandata dal re in persona e a seguito di un lungo assedio, la città sarebbe stata riconquistata e ripopolata con genti iberiche, provvedimento già sperimentato a Castel di Castro nel 1326 dopo l’allontanamento dei Pisani. Si colloca in questo contesto l’origine dell’odierna identità culturale di Alghero e del dialetto algherese, varietà del catalano orientale tutt’oggi parlata.
Giunto in Sardegna, nel 1355 Pietro il Cerimonioso, stipulata una temporanea pace, convocò a Cagliari un primo parlamento del regno, sul modello delle cortes iberiche. Il giudice d’Arborea, tenuto a presenziare in quanto vassallo del re, non avrebbe però preso parte all’assise.
Il conflitto fra la Corona d’Aragona e il Giudicato d’Arborea
Un’accorta politica matrimoniale permise a Mariano IV di mettere in atto una strategia diplomatica di largo respiro, intessendo alleanze con l’aristocrazia catalana in conflitto con la monarchia; coi visconti di Narbona; coi De Vico, potenti signori di Viterbo; in Sardegna stesso, con l’irrequieto Brancaleone Doria, che avrebbe sposato Eleonora, figlia di Mariano e della nobile catalana Timbora di Roccaberti. Il giudice arborense ottenne credito anche presso la curia pontificia avignonese, che, nel 1365, a causa del decennale ritardo nel pagamento del censo feudale di 2.000 marchi d’argento, aveva scomunicato Pietro IV e lo aveva dichiarato decaduto dai suoi diritti sul Regno di Sardegna. Mariano avrebbe così tentato di ottenere lui l’investitura dell’isola, o quanto meno dei territori sotto il suo controllo.
Nel 1374 la Sardegna era quasi totalmente in mano al Giudicato d’Arborea: solo il controllo delle due città fortificate e dei porti di Cagliari e Alghero avrebbe garantito alla Corona d’Aragona la tenuta del regno. Il conflitto proseguì sotto gli eredi di Mariano, Ugone III (1376-1383) ed Eleonora (1383-1403), moglie di Brancaleone Doria e giudicessa reggente per i figli minorenni, Federico e Mariano. Nel 1388 fu sottoscritta una nuova pace fra Eleonora e il nuovo re d’Aragona, Giovanni I il Cacciatore (1387-1396), accordo risultato favorevole ai catalano-aragonesi, che riottennero i territori del Campidano e della Gallura. Nel 1391, tuttavia, le truppe giudicali, riprese le armi e alla guida di Brancaleone Doria e del figlio Mariano V, avrebbero rioccupato in breve tempo i territori resi alla Corona. Proprio nei primi anni ’90 Eleonora avrebbe promulgato la Carta de Logu, codice legislativo del giudicato redatto in volgare sardo-arborense, che aggiornava quello precedente emanato dal padre Mariano IV assieme al Codice rurale.
La ripresa delle ostilità coincise con una rinnovata tensione tra Genova e la Corona d’Aragona, quest’ultima impegnata anche a sedare la guerra civile esplosa in Sicilia, ove furono dirottate le forze militari destinate inizialmente alla Sardegna. Sotto Martino I il Vecchio (1396-1410) la Sicilia rientrò nell’orbita dinastica aragonese. L’erede al trono, Martino il Giovane, che aveva assunto il titolo di re di Sicilia, nel 1409 venne in soccorso ai contingenti militari catalani impegnati in Sardegna nelle ultime fasi dell’estenuante conflitto fra il Giudicato d’Arborea – dopo la morte di Eleonora e dei figli passato sotto il governo di Guglielmo III, visconte di Narbona – e la Corona d’Aragona. Lo scontro decisivo avvenne nel giugno del 1409 presso Sanluri, con la sconfitta dell’esercito giudicale al comando di Guglielmo di Narbona. L’anno seguente, durante l’assedio della capitale Oristano, il territorio del giudicato fu trasformato nel marchesato di Oristano, infeudato a Leonardo Cubello, podestà della città e anch’egli imparentato con la dinastia arborense. Il contenzioso con Guglielmo di Narbona venne invece risolto nel 1420 col versamento al visconte di 100.000 fiorini d’oro in cambio della rinuncia ai diritti sul trono giudicale.
La Sardegna catalano-aragonese
La conquista della Sardegna, iniziata nel lontano 1323 e conclusa un secolo dopo, «si era via via trasformata in un pozzo senza fondo per le risorse umane ed economiche della Corona» (M. Tangheroni). Il lungo conflitto che per un settantennio insanguinò l’isola ebbe conseguenze devastanti sull’economia. Le endemiche epidemie di peste, a partire dal 1348, contribuirono inoltre a una profonda crisi demografica, con un crollo della popolazione rurale del 43% e la scomparsa della metà dei centri abitati, con punte del 90% nella Nurra, in Gallura e nel Sarrabus.
Nel 1409 era intanto morto a Cagliari Martino il Giovane, erede al trono d’Aragona. L’anno seguente, alla morte del padre, Martino il Vecchio, si aprì una crisi dinastica, risolta col Compromesso di Caspe (1412), che assegnava la Corona d’Aragona a Ferdinando I, della dinastia castigliana dei Trastàmara. Nel 1421 il figlio, Alfonso V il Magnanimo (1416-1458), avrebbe convocato a Cagliari il primo, vero parlamento del Regno di Sardegna, col quale si sarebbe avviata la ristrutturazione giuridico-amministrativa dell’isola. Vent’anni dopo, nel 1442, Alfonso il Magnanimo avrebbe conquistato anche il Regno di Napoli.
Nel 1448, con la sconfitta Nicolò Doria, figlio naturale e unico erede di Brancaleone, anche Castelgenovese passò sotto il dominio della corona, sotto il nome di Castellaragonese (oggi Castelsardo). Nel 1470 Leonardo Alagon, nipote di Leonardo Cubello, ereditò il marchesato di Oristano, successione però contestata da Nicolò Carroz, viceré di Sardegna anch’egli imparentato con l’antica dinastia giudicale. Dopo la sollevazione e una prima vittoria degli Alagon nella battaglia di Uras (1470), lo scontro decisivo avvenne nel 1478 a Macomer, con la vittoria delle truppe viceregie. Leonardo sarebbe morto prigioniero nel castello di Xativa (presso Valencia), mentre il marchesato di Oristano sarebbe divenuto feudo regio della Corona d’Aragona, portato in dote, l’anno seguente, tra i titoli delle unificate Corone di Castiglia e Aragona (1479).
La Sardegna spagnola
Il nuovo assetto amministrativo del Regno di Sardegna faceva perno sui feudi e sulle cosiddette città regie, sotto la diretta giurisdizione della corona: Cagliari, sede delle autorità centrali del regno; Iglesias, Sassari, Castelgenovese (dal 1448), Oristano (dal 1479), Bosa (dal 1499) e Alghero (dal 1501). Fu mantenuta la Carta de Logu come codice legislativo comune del regno, rimasta formalmente in vigore sino all’età sabauda (Codice Feliciano, 1827). La maggiore carica amministrativa era quella di viceré, ricoperta da esponenti delle maggiori famiglie della feudalità iberica. Le componenti sociali del regno (aristocrazia feudale, alto clero e città) furono rappresentate nei tre bracci (stamenti) del nuovo parlamento, che doveva riunirsi in seduta plenaria ogni dieci anni per stabilire l’ammontare dell’imposta generale da versare alla corona (donativo). Per quest’ultima divenne fondamentale la capacità di intermediazione fra i rappresentanti dei signori feudali e le comunità di villaggio.
La Sardegna entrò nel circuito economico-commerciale aragonese e valenzano, basato sull’esportazione di materie prime dall’isola e sull’importazione di manufatti. La presenza di mercanti di origine catalana contribuì all’avvio di un forte influsso linguistico-culturale: numerosi vocaboli sardi legati alle arti e alla produzione artigianale sono di origine catalana, mentre i tipici gioielli isolani trovano una loro ascendenza nella tradizione catalano-valenzana. A partire dal Quattrocento i documenti sardi furono redatti da notai e cancellieri di lingua e cultura catalana, mentre i primi libri stampati in Sardegna da tipografi itineranti erano in latino o catalano. La popolazione di origine catalana presente sull’isola faceva riferimento alle istituzioni e al diritto di tradizione iberica, con una differenziazione sociale e giuridica riscontrabile, ad esempio, in ambito matrimoniale (iberico o ‘alla sardisca’). Solo dalla metà del Seicento avrebbe iniziato a prevalere il castigliano come lingua d’uso e poi lingua ufficiale.
Alla fine del Quattrocento la Sardegna era dunque ormai parte integrante di una monarchia impegnata a consolidare le conquiste nel Regno di Napoli e attiva sullo scacchiere delle Guerre d’Italia. Nel 1492, in concomitanza con la caduta dell’ultimo stato musulmano della penisola iberica (il Sultanato di Granada), le comunità ebraiche furono espulse da tutti i domini spagnoli, compresa la Sardegna. Nello stesso anno, Cristoforo Colombo, nella fase delle scoperte geografiche, sbarcava nelle Americhe. Nel 1494, infine, fu fondato il Consiglio d’Aragona, al quale per altri due secoli avrebbe fatto riferimento il Regno di Sardegna, così traghettato nell’Età Moderna. Ma questa è un’altra storia.
Francesco Borghero
Per approfondire
FRANCESCO CESARE CASULA, La Sardegna aragonese, 2 voll., Chiarella, Sassari, 1990
MASSIMO GUIDETTI (a cura di), Storia dei sardi e della Sardegna, vol. II, Il Medioevo. Dai giudicati agli aragonesi, Jaca Book, Milano, 1988
OLIVETTA SCHENA; SERGIO TOGNETTI, La Sardegna medievale nel contesto italiano e mediterraneo (secc. XI-XV), Monduzzi, Noceto (PR), 2011
GIAN GIACOMO ORTU, La Sardegna tra Arborea e Aragona, Il Maestrale, Nuoro, 2017
PINUCCIA FRANCA SIMBULA; ALESSANDRO SODDU, La Sardegna nel Mediterraneo tardomedievale, Convegno di studio (Sassari, 13-14 dicembre 2012), CERM, Trieste, 2013